stefano meli
Psychedelic Indiana Blues 2014 - Strumentale, Psichedelia, Blues

Psychedelic Indiana Blues

Blues strumentale che evoca grandi spazi e a tratti... il fantasma della noia.

Ascoltando e riascoltando questo disco mi è venuto il mente il nome di Leo Kottke. Per conoscerlo bisogna essere (o essere stati) chitarristi acustici e interessati al fingerpicking. Bene, Leo Kottke è noto per essere un mostro di bravura, ma freddo. Per quanto Simone Meli non raggiunga il tecnicismo eccelso di Kottke (e quanti, al mondo?) sfoggia comunque una tecnica più che buona. Ma non comunica. Un po’ per un fatto intrinseco alle sue composizioni, in cui lo sviluppo armonico e melodico a tratti pare incartarsi su se stesso; un po’ per il tipo di resa sonora, troppo levigata, a mio personale avviso, per qualcosa che esibisce senza paura le sue radici blues; e un po’ per l’eccessiva lunghezza delle composizioni e anche del disco, che si ferma a 60 minuti.

Non darò la colpa agli strumentali (quanti appassionati di Mogwai esistono al mondo?), ma di certo le composizioni di “Psychedelic Indiana Blues” tendono ad assumere la forma della suite, pur rimanendo all’interno del genere blues. Un’idea interessante, ma, almeno per il momento, non realizzata al meglio. Il lavoro sfuma in sottofondo, con ambizioni forse da colonna sonora, e pure così a tratti annoia. Insomma, le qualità ci sono, ma il risultato non convince affatto. Dal blues, almeno io, voglio sudore e sangue, non suoni levigati: non basta un po’ di eco per raggiungere l’evocatività delle composizioni di un Morricone o un Ry Cooder (per citare due musicisti diversissimi che hanno in comune l’amore per i larghi spazi delle praterie Usa). Il mio consiglio al buon Simone Meli, sempre che se faccia qualcosa di nominabile? Sfrondare, sfrondare, sfrondare. E suoni più grezzi. Meno suites, più dritti allo scopo. E lo dice uno, come me, che ama il progressive. Quindi il problema non sono le suites.

Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.