Apollo 18, la missione lunare della NASA mai partita, dà il titolo al nuovo disco album dei Central, una band che gioca con i ricorsi storici e propone un lavoro sospeso a metà tra il reale e l’irreale, tra terra e spazio, tra possibile e impossibile. Sebbene la dimensione spazio-temporale sia indefinita, è certo invece che il loro è un buon disco, ben costruito e strutturato.
I suoni elettronici del sintetizzatore e del campionatore di Giuseppe De Francesco (anche voce, chitarra e programmazione del gruppo) guidano lungo le otto tracce di "Apollo 18", trovando il loro compimento in "Planetario" e "Le maree della mente", sonorità melliflue che incantano e ricordano i Subsonica delle tracce atmosferiche contenute in "Amorematico".
Il viaggio nello spazio parte con "Telescopi". “Guarderemo il mondo da lontano” induce l’ascoltatore a provare l’irrefrenabile voglia di astrarsi dai problemi e dagli impicci della vita, osservandola a distanza di sicurezza.
Con "Luna Nuova", l’invito è a trovare il proprio posto nel mondo, partendo dalle piccole cose (“Scegli il tempo che sai che non puoi perdere mai”). In "Le città volanti" (tributo forse inconsapevole a James Benjamin Blish, scrittore fantasy e fantascienza americano) e "Elefanti", si entra nel vivo del viaggio, che trova pause in "Un’orbita" e si chiude con "Antenne": ode alla ricerca di risposte, con percussioni incalzanti e suoni manipolati che rendono ancora più evocativa la voce narrante di un viaggio che si conclude negli ultimi sette minuti del disco.
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