Al di là di una tangibile confusione stilistica – di solito spacciata, in questi casi, come una provvidenziale armonizzazione dei vari background musicali dei componenti – ciò che manca ai Sine Code, alla fine, è quella giusta dose di mordente in grado di rendere suggestivo e accattivante persino il disagio più oscuro, come del resto solo i più talentuosi hanno saputo fare in passato.
La band pratese dispensa cinque brani che girano intorno al più sfibrato alt-rock statunitense di matrice gothic-metal (gli Evanescence sono dietro l’angolo) qua e là vitaminizzandolo con propulsioni elettroniche e qualche chitarrina darkeggiante di fine ’80 (Fields of the Nephilim, Rosetta Stone, The Cure ecc.) Purtroppo anche la voce di Jara Duvina – quasi sempre inchiodata sugli stessi registri – non riesce a sfoderare la necessaria personalità per guadagnarsi quella centralità scenica che in questo tipo di formazioni musicalmente femmino-centriche è pressoché obbligatoria.
I troppi déjà vu, sommati a una carica deflagratoria inoffensiva, rendono questo promo un tantino anemico, persino per i cultori meno integralisti del genere.
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