Alessio Bondì
Sfardo 2015 - Cantautoriale, Soul, Folk

Sfardo
09/06/2015 - 09:00 Scritto da Giuseppe Catani

Alessio Bondì ti prende e non ti lascia più, come quando la luna sembra inghiottire solo te.

Un incrocio tra Rosa Balistreri e Jeff Buckley. Ormai i termini di paragone sono terra di nessuno, basta spararla grossa e siam tutti lì che annuiamo o ci abbandoniamo alle nostre legittime risate, a seconda dei casi. Stavolta si annuisce. Perché chi ha definito (già, chi?) Alessio Bondì una via di mezzo tra una cantastorie oggetto di culto e un monumento (al netto di un’esistenza dannatamente troppo breve) dell’indie-rock non ha sparato a casaccio. Ci ha preso, ci ha visto giusto. E poi, diciamocelo, tra le maglie dell’incrocio di cui sopra si può infilare di tutto. E Bondì, beato lui, possiede l’anima del cantastorie e quella del rocker. Ma se gli parli di blues, di jazz o di soul non è che gli dispiaccia poi troppo. Anzi.

“Sfardo” (termine palermitano traducibile con “strappo”) è un album di un cantautore poco definibile, che partendo dalle radici del folk sfocia in una visione che potremmo definire universale. Alessio Bondì ha i piedi ben piantati tra le zolle della sua terra: canta il dialetto della città natale (Palermo, appunto) ma il suo è un atteggiamento ibrido, di chi decide di guardare con il massimo dell’attenzione quel che gli succede intorno. Per poi indossare un paio di stivali delle sette leghe, utili a esplorare il mondo nella sua ricchezza.

Ecco dunque il Bondì muoversi in equilibrio tra gli umori di un soul jazz allegro (“Vucciria”), oppure richiamare un Van Morrison su di giri e accerchiato dalle sue eterne settimane astrali (“Iccati sangu”). Vero, siamo alle prese con un disco vivace e giocoso nella propria essenza (“i si batti ’i mani veni puru Spaidermè”, recita la filastrocca “Di cu sì”), ma pur sempre pronto a immergersi in malinconiche introspezioni sulla vita che può essere persino difficile (“In funn’o mare”). Gli arpeggi della sei corde acustica svolgono un ruolo decisivo - come negarlo? - ma a rendere attraente il suono di "Sfardo" contribuiscono non poco i continui intrecci con gli archi e i fiati, senza dimenticare la vivacità delle percussioni. La parte finale di “Un pisci rintr’a to panza” la dice lunga sulla grazia (e sull’equilibrio) degli arrangiamenti. E su di una produzione in grado di tirar fuori il meglio da un Alessio Bondì in evidente stato di grazia. “Sfardo” è un disco che ti prende e potrebbe non lasciarti più, come quando la luna sembra inghiottire solo te.

 

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