Iosonouncane
DIE 2015 - Sperimentale

DIE
30/03/2015 - 09:00 Scritto da Manfredi Lamartina

Un'opera che non appartiene a nessun tempo perché cerca di attraversarli tutti.

Se con “La macarena su Roma” aveva composto un disco fortemente politico, con "Die" Iosonouncane è andato nella direzione opposta. La politica, per lo meno nel senso più ampio, bello e puro del termine (la cronaca costringe ormai a mettere sempre le mani avanti), rappresenta l’io che rinuncia al proprio interesse individuale per mettersi al servizio dell’intera comunità, ovvero di tutto ciò che sta al di fuori di sé. Da questo punto di vista “Die” non è un disco politico. Semmai pre-politico o ante-politico. Perché indaga su un individualismo assoluto che è presupposto fondamentale per comprendere meglio il proprio ruolo e la propria dimensione di essere umano. Solo dopo un passaggio simile si può ripartire con la comunicazione, con lo scambio, con la politica.

Dunque “Die” scaturisce dal livello alfa dell’esistenza: l’unicità. A cominciare dai titoli: parole uniche dalle quali prende il via la storia di due personaggi - una donna in attesa sulla riva del mare e un uomo alla deriva tra le onde - forse destinati a non incontrarsi mai. Lo scenario è costituito da pochi elementi, tutti inquadrati sotto un’ottica allucinata e inquieta. Il sole, il mare, l’isola sono parte di un mondo basilare senza appigli temporali, sociali o culturali riconoscibili. E soprattutto senza apparente salvezza. La morte - qualcosa di più di un’opzione per il racconto di Iosonouncane - rimbalza continuamente non solo nei testi difficili e affascinanti delle canzoni, ma anche in quel gigantesco DIE della copertina: in sardo vuol dire giorno, ma la musica spinge di fatto a leggere die, in inglese.

Il suono dei disco è decisamente più scuro, minaccioso e violento di quello di “La macarena su Roma”. L’apertura di “Tanca” è affidata a tamburi di guerra cupi e marziali. Sembra di sentire l’ostro dei Lay Llamas: clima torrido, beat lento e ovattato, un tasso d’acidità che cresce col passare dei minuti. Psichedelia italiana applicata al cantautorato: è una scommessa vinta, il primo di sei centri consecutivi. La vera sorpresa però è la voce di Iosonouncane. Non più quella macchietta divertente ma un po’ irritante che avevamo conosciuto cinque anni fa. Il cartoon è finito, c’è zero sarcasmo, non si scherza. Il linguaggio punta più in alto rispetto alle miserie quotidiane e il timbro vocale si adegua: il cantato è ora al servizio della canzone, non è la canzone. E acquista una potenza espressiva incredibile. Ancora meglio la ballad sbagliata e lieve di “Stormi”: chitarra acustica appena accennata, synth delicati, contrappunti vocali femminili e una tristezza assurda, inspiegabile e paralizzante, di quelle che solo il pop migliore sa descrivere. Può bastare? Nemmeno per sogno. “Mandria” è un capolavoro assoluto di imprevedibilità e ispirazione. È un brano che chiude il discorso in maniera definitiva, raccoglie tutte le ossessioni sparse nei pezzi precedenti e le trasforma in una corsa sfrenata di arrangiamenti sintetici e di deviazioni cantautorali, di ritorni al futuro e di fughe nel passato. È come se Iosonouncane avesse preso Apparat e Lucio Battisti per unirli in un suono ibrido e impossibile, con l'ambizione di spostare più in là i confini della musica moderna. “Die” in fondo è un’opera che non appartiene a nessun tempo perché cerca di attraversarli tutti. Proprio l'opposto di quello che è stato il grande pregio e il piccolo limite di “La macarena su Roma”, un album installato in un qui e ora ben circostanziato.

È per certi versi paradossale che un lavoro incentrato sul concetto di unicità sia il frutto di una condivisione artistica (non del tutto prevedibile, conoscendo il tipo): quindici musicisti coinvolti a vario titolo più il decisivo supporto di Bruno Germano, la cui produzione, si legge nell'intervista rilasciata a Rockit, “è stata salvifica”. Però al netto dei dovuti ringraziamenti, "Die" è una raccolta formidabile perché formidabile è il talento del suo autore. Che fosse di una categoria superiore si sapeva già. Ma che in appena due dischi potesse aspirare a diventare il più bravo di tutti nel suo genere - qualunque esso sia - beh, era difficile da immaginare. Qualcuno allora dica alla Rocket Recordings di buttare di nuovo un occhio a quanto succede in Italia. C'è un tizio che potrebbe fare al caso loro.

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