L'ultimo album dei Parbat è un lavoro maturo, pensato, registrato bene e molto suonato: chitarra basso e batteria costruiscono una base solida su cui è tessuta una la rete di continui rimandi a sonorità diverse. Dal sax ai sample di voci e rumori, il suono funge da base di partenza per tutti i brani: il riff ostinato di "8611" si costruisce su quella che sembra brezza marina, lontani gong tibetani introducono "Himalaya" e un corno disperato apre le porte su "Bottleneck". Ogni traccia prende corpo istantaneamente e, forte dalla tangibile sintonia fra i singoli membri del gruppo, può permettersi di iniziare ad avvolgersi su se stessa, avventurarsi tra le vertigini del math-rock e cedere al fascino dei tempi dispari.
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