Un miscuglio di generi dal sapore sia vintage che futuristico caratterizza l'album "Apocalyptipop" degli Stash Raiders. La band si autodefinisce nei modi più diversi, da pirati intergalattici a orchestra circense, e questo colorato stile dalle numerose sfaccettature si fa sentire a gran voce in tutto il disco.
"Apocalyptipop" è un albero musicale dalle mille ramificazioni in cui scorre la linfa del pop psichedelico, del rock e del garage. Si insinuano silenziosamente, però, anche il blues, evidente in "The Mammoth Song", e melodie circensi nonché multi-etniche come in "He's a Fisherman, He's a Chef". Colpisce la riuscita unione del rock, contrassegnato dalla chitarra distorta, con le atmosfere mediorientali in "Talisman". Il profumo tipico di Arabia e India ritorna in "Without Space and Time", che annulla immediatamente la distanza spazio-temporale, catapultandoci in quel mondo esoterico di spezie e magia. La firma del garage è, invece, percepibile sensibilmente nel tipo di incisione, in cui ne emergono le origini: il primo garage, con la sua essenza piacevolmente grezza e sporca.
L'album degli Stash Raiders è un esperimento creativo molto particolare, inimitabile persino nei minimi dettagli che lo compongono e che si avvale della regola "chi più ne ha, più ne metta". Ad ogni ascolto, si scopre sempre qualcosa di nuovo, come nella lontana era dei simposi nella quale i cantori non recitavano la stessa identica versione dei componimenti in ogni occasione, bensì apportavano modifiche a ogni esecuzione, rendendo ciascuna di esse unica.
Di conseguenza, "Apocalyptipop" sarà un disco soggetto sempre a nuove riletture e reinterpretazioni, perché il "Play" successivo non sarà mai uguale al "Play" precedente.
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