Bachi da pietra
Necroide 2015 - Folk, Black metal

Necroide

Un raro monile di metallo pesante, forgiato dall'incontro del voodoo di New Orleans e dal paganesimo scandinavo

Ho un biglietto da 6,66 euro per un viaggio di sola andata verso il Ragnarok. Il carro funebre che ci guiderà sta scaldando i motori e il santino di Burzum attaccato sul cruscotto riporta la frase: “Black metal il mio folk”; sarà il nostro mantra per tutto il viaggio. Le radici di questo lavoro affondano nel terreno delle foreste norvegesi, da cui si estrae una linfa nera ed opaca. Per qualche sconosciuta legge della chimica riusciamo a percepirla sotto forma di onde sonore.
Ci investono. L'impatto è violento.
Un preludio roco e pesante indica la direzione di questo viaggio, mentre la chitarra di Succi continua a sbatterci a terra con ripetuta e cadenzata violenza. La sua voce ripete il nostro mantra: “Black metal il mio folk”.
I Bachi colgono al volo l'occasione di rivolgerci il solito invito dei Venom, consigliandoci di offrire la nostra anima al Dio del rock'n roll. Ma sin dal primo brano capiamo che non ci troviamo in una selva di cliché “made of steel”; le parole di monito verso la memoria labile dell'occidente vertono verso un'opera cantautorale che ha il marchio di fabbrica dei Bachi da Pietra, ma con un lessico che segue pedessiquamente la lezione impartitaci del metal.
Le sonorità moderne di questo incipit, assimilabili alla più recente ondata sludge o post-metal, ci fanno raggiungere la velocità di crociera di 666 km/h, una media ottimale per approdare verso i confini della realtà musicale.
Con “Slayer & The Family Stone” scopriamo il segreto di "Necroide", una formula alchemica che in questo caso prende in prestito due nomi di band californiane distanti tra di loro, per combinarli in un matrimonio capace di generare il canto di una chimera, a metà tra i suoni caldi del funk e r&b degli Sly & The Family Stones e le inconfondibili note del classico tritono caro a Kerry King e Jeff Hanneman. Lo stesso Hanneman deceduto a causa di una fascite necrotizzante, causata dal morso di un ragno, da cui Succi trae spunto per ricordarci quant'è beffarda la morte, creando così la colonna vertebrale di questo album. Mentre riflettiamo su questa macabra legge universale siamo spettatori di un passaggio che da Sly e Bombino approda alle inconfondibili terzine degli Iron Maiden.

Una chitarra suonata da Hendrix vestito da vichingo ti fa immergere nei deliri di “Tarli mai” e nella trascrizione poetica haitiana di “Voodooviking”, fino ad arrestarti su “Apocalinsect”, un funerale elettrico celebrato dai Black Sabbath vestiti da Daft Punk. Lo scenario fatto di ecomostri di cemento è il contorno di un lungo epitaffio che fa da apertura alla nostalgia di “Virus del Male” dove si scava nei ricordi dei primi approcci musicali, riportando a galla tutta quella desolazione che ci ha accompagnato durante l'adolescenza.
Una nostalgia ricordata solamente come rumore, che sentiamo esplodere in “Feccia Rozza”, dove il duo è capace di suonare come i Ministry di "Jesus built my hotrod", ma con un aspetto più minaccioso – esagerato dai cupi “virtuosismi” vocali tanto cari a Lee Dorrian – estremizzando così il concetto stesso di "Necroide". Il pathos non cessa di crescere, senza scadere in prevedibili blast beat; Succi e Dorella danno il La ad un'atmosfera funerea che dal doom suonato in una cattedrale passa alle stanze annebbiate dalle sigarette di Tom Waits; un'esperienza di pre e post-mortem, raccontata da Bela Lugosi. Finiremo per ballare in cerchio attorno al totem di Snaggletooth, un rituale tribale che ricalca alla perfezione gli stilemi dettati dai Motorhead. Si chiude così un lavoro che supera i confini dell'omaggio, tra ironia e devozione, alle radici dei Bachi.

Il fascino di "Necroide" sta proprio nella sua composizione: i Bachi da Pietra non propongono delle cover e non cercano nemmeno un'esasperata svolta musicale, bensì hanno creato un raffinato lavoro di parafrasi, unendo il metal alle loro influenze e preferenze attuali.
Siamo davanti a un ricordo di cui timidamente ci si vanta, perché nonostante il metal sia divenuto un genere quasi ridondante è stato a suo modo formativo e funzionale. Non scordiamoci che è comunque il nostro folk.
La struttura di Necroide è un viaggio antologico tra figure retoriche messe in musica e la forma è quella di un raro monile di metallo pesante, forgiato dall'incontro del voodoo di New Orleans e dal paganesimo scandinavo, il cui frutto è un suono difficile da immaginare, ma piacevolissimo da ascoltare. Un lavoro che sarà apprezzato in particolar modo da tutti coloro che hanno seguito un excursus simile a quello di Succi e Dorella, capaci di cogliere al meglio le citazioni nascoste ed i sottili collegamenti tra i brani.
Come un ragno, o un baco, che grazie al suo morso va lentamente a insinuare e intaccare qualcosa più grande di lui, “Necroide” demolisce e santifica nello stesso tempo, in un modo magnifico, la mutazione alchemica della pietra in metallo.

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