Samana
s/t 2004 - Post-Rock

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Purtroppo, o per fortuna, in Italia gli stilemi consolidatisi a livello più o meno mainstream di quello che era puramente indie hanno prodotto e continuano a produrre miriadi di band derivative. Quanti cloni di Marlene Kuntz troviamo nelle rassegne degli emergenti, quanti figliocci di Pelù e Agnelli si cimentano con vocalizzi impostati e debitori, quanti gli accecati da una fune legata attorno agli occhi, immobili, adepti di Sua Eminenza Ferretti?

I Samana sicuramente sanno suonare un discreto punkrock, minimale ed essenziale, ma la folgorazione sulla via di Damasco in seguito alla reiterata somministrazione di “Tabula Rasa Elettrificata” non è stata ancora smaltita, e - ahimè - sono trascorsi quasi sette anni da allora. “Il Confine”, seconda traccia di questo Ep rimanda in maniera tautologica agli episodi matrilineari di cui sopra. Le “cupe vampe” che incendiavano gli istinti pacifisti di una parte consistente dell’intellighenzia musicofila italiana si accartocciavano come le pagine dei libri della biblioteca di Sarajevo in fiamme, ma erano quelli i tempi propizi. Oggigiorno questo esercizio tardorevanscista dei Samana mi appare troppo fuori dal tempo, per quanto io mi genufletta da decenni alla grandezza del Ferretti.

“Il Confine” non è solo il titolo del secondo pezzo dell’Ep, ma è anche un labilissimo trabocchetto che imprigiona i Samana nell’improponibile ruolo di coverband dei C.S.I., e tutto ci auguriamo noi di Rockit tranne che si perpetuino formule già ampiamente gratificate dalla storia. Anche perché qui le qualità per andare oltre ci sarebbero. Inoltre Ginevra De Marco è una e tale deve rimanere. Così come la ricerca dei testi dovrebbe cercare di approfondire gli infiniti aspetti che la semantica offre, anziché appiattirsi sui cliché dell’allitterazione fra rime semplicistiche (“Trappole”).

Non è una stroncatura, tutt’altro. Si scorgono interessanti prospettive di crescita e di acquisizione di una personalità propria. La capacità di creare giri armonici ibridi fra il roots tradizionalista e lo slogan poetico è una cartuccia in canna al kalashnikov dei Nostri che dovrebbe essere maggiormente sfruttato. Eviterei altresì l’inopportuno grondare barocco di assoli chitarristici tardometallari, debitori più a Yngwie Malmesteen che a Massimo Zamboni. Così come eviterei di aspettare il compimento del piano quinquennale affinché questo si realizzi.

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