“The Thin Lie” dei Marvis ha un cuore elettrico che pulsa con eleganza. Non a caso, dietro lo pseudonimo utilizzato dal duo si nasconde l’intreccio tra il buon gusto di Fabio Cinti e la voce della co-autrice Irene Ghiotto. Il risultato è un disco che si allontana dallo stile abituale dei due cantautori e che diluisce melodie spiccatamente pop con l’electro music e il trip-hop.
Mentre la title-track introduce l’album con delicatezza e un tappeto musicale di pinkfloydiana memoria, presto ci si rende conto che “The Thin Lie” gioca su una serie di piacevoli contrasti: voce maschile-voce femminile, ritmi morbidi e improvvise sferzate elettroniche, silenzi studiati e riff impetuosi. Più che in contrapposizione, però, questi elementi danno vita a un equilibrio costante, riuscendo nell’intento di creare un album corposo e al tempo stesso capace di scorrere con una certa leggerezza.
“Many Swallows” e “Run” segnano in questo senso il punto più alto del disco: la prima, delicata e toccante, riscopre per un momento la vena cantautorale sopita; la seconda, rapida e coinvolgente, è figlia di un sound più vicino allo stile di Matilde Davoli.
Poco prima della chiusura blues lo-fi, in cui il duo riadatta “She’s Always a Woman” di Billy Joel, l’altro gioiellino del disco è “Stars”. Qui la protagonista indiscussa è la voce di Irene Ghiotto, l’accompagnamento minimale fa il resto regalandoci una canzone dolce e malinconica, da ascoltare rigorosamente di sera. Questo primo esperimento dei Marvis, che con la collaborazione di Francesco Enea e Sara Battilana per l’artwork è diventato un collettivo a tutti gli effetti, incuriosisce e invoca una seconda uscita. L’ideale sarebbe proporre un simile progetto anche al di là dei confini nazionali, ma in questo caso qualche piccolo sforzo in più per quanto riguarda la pronuncia inglese sarebbe consigliato.
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