Un disco colorato, ricamato, raffinato. Cantato bene, suonato benissimo ed arrangiato ancora meglio. Pieno di parole messe in fila bene. Ricco di storie semplici e quotidiane, ma con più letture. Se fossimo negli anni '70 probabilmente avrei avuto una folgorazione. Purtroppo nel frattempo De Gregori ha scritto tutto quello che poteva, Battisti e Mogol hanno inciso tutto quello che serviva e intanto persino Capossela si è forse stancato di se stesso. Fabrizio De Andrè invece lasciamolo stare. Rimane questo equilibratissimo poutporri, purtroppo privo di fragranza. Perché "Usa bene le parole" è ben lontano dall'essere un disco brutto, ma è una collezione di canzoni quasi trasparenti. Eccellente esercizio che sintetizza la tradizione del cantautorato italiano, fatto di chitarre acustiche, melodie eleganti e suoni curatissimi, vagamente ringiovanito da rintocchi di pop leggero contemporaneo. È privo però di quell'ispirazione, lirica e musicale, necessaria a trasformare una canzone qualunque in una canzone bella. Riky Anelli è uno di quelli che vince anche premi e targhe minori. È meticoloso, preciso, appassionato, impeccabile. Ma non rischia nulla, limitandosi a ricompilare.
Un compito eseguito con maestria, ma dal risultato spesso avvolto da quella sensazione di normale-e-strasentito che scivola addosso senza lasciare tracce emotive.
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