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Testa di balena 2017 - Cantautoriale, Pop, Folk

Testa di balena

Dalla malinconia degli esordi al pop brillante di “Testa di balena”. Un altro Modì.

Un nuovo Modì. Da quello del 2012, riflessivo, malinconico, che coverizzava senza pensarci troppo un allegrone come Elliot Smith, che esordiva con “Il suicidio della formica” (un titolo, un programma, tra la tracklist figurava la vivace “Suicidio in stazione”) a quello di “Testa di balena”. Allegro, solare, brillante, leggero, poco o per nulla cupo, che si stupisce dei colori che lo circondano, che atterra con delicatezza sulle nuvole: sei anni dopo Modì, all’anagrafe Giuseppe Chimenti, è un’altra persona. O meglio: un altro artista, un altro musicista. Che oggi tira fuori energia pop da tutti i pori. Un pop chitarroso, guidato da una bella voce, a tratti contagioso, orecchiabile a dir poco (è il caso dell’opener “Mirò”), oppure più vicino al cantautorato classico se non ai suoni di oltre Manica, immerso in qualche ballata semiacustica, che si avvicina niente meno che ai Cure di fine anni ’80 (“Malinconia di una strada”).
I pezzi posseggono un buon impatto, anche se non tutto funziona a dovere: non convincono i ritmi semi dance della title-track e nemmeno la malinconia di “Enigma di una giornata”. E per dirla tutta, manca un sobbalzo, un pizzico di coraggio e originalità, qualcosa che ti prende e ti porti via sul serio. Però il Chimenti c’è e sembra sulla buona strada. Non lo riconoscerà chi ha amato le lentezze del suo esordio, ma quando si cambia (e quando i pensieri assumono un altro colore, più vivace e maggiormente tonico) ci si può ritrovare ovunque. Persino immerso tra i colori, a bordo di qualche nuvola che ti porta chissà dove.

 

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