Santo Niente
Il fiore dell'agave 2005 - Rock, Indie, Alternativo

Il fiore dell'agave
28/10/2005 Scritto da teo

Il Santo Niente viene da lontano.

Due dischi e mezzo usciti per il Consorzio Produttori Indipendenti, nella seconda metà degli anni novanta. Tra il primo e il secondo, il cambio di ragione sociale che ha visto scomparire il frontman Umberto Palazzo a favore del solo nome collettivo. Un buon numero di concerti. Poi il nulla.

Io conosco tutti i pezzi a memoria.

Ho -e continuo a indossare- un pajo di magliette. Di “Sei na ru mo’no wa na’i” ho anche una copia in vinile. Li ho visti dal vivo una dozzina di volte. Una tra le ultime, davvero splendida, in acustico puro (e poi ho passato mesi in attesa di un album che avrebbe dovuto uscire ma non è uscito). Da qualche parte conservo, arrotolata, la locandina di un concerto.

Quasi patetico.

Anche negli anni successivi i due album del Santo Niente sulla libreria non hanno mai accumulato più di un leggero strato di polvere.

Il 'ritorno', nel 2002, mi aveva incuriosito. Una certa attesa, una certa enfasi.

Il concerto (Bologna, d'estate, all'aperto) era stato un bel viaggio in un passato nemmeno troppo remoto.

Ma i pezzi suonavano sfilacciati, un po' rallentati, poco incisivi. La nuova band due spanne sotto la precedente (accasata per intero con Moltheni), qualcosa che era sembrato estemporaneo e senza futuro.

Poi, con i giusti tempi di maturazione, è arrivato l'ep e, qualche tempo dopo, il nuovo album, targato Black Candy e nobilitato dalla produzione artistica di Fabio Magistrali.

“Il fiore dell'agave”, accompagnato da un buon booklet, scurissimo, con foto in bianco e nero della superficie desolata di Lanzarote, al primo ascolto è estremamente deludente. Davvero deludente. Devono passare giorni prima di provare a rimetterlo nel lettore.

Poi, con gli ascolti ripetuti, più accurati e stratificati, si arriva a un giudizio più organico e equilibrato.

Migliore.

Non abbastanza.

Recensione: nell'album non ci sono pezzi indimenticabili, ci sono alcune canzoni discrete e alcune davvero brutte.

Dopo l’interlocutorio “Tittico tribale di apertura”, complessivamente discreto (con menzione particolare forse per “Luna viola”, viene “Nuove cicatrici”, la “canzone più antica della raccolta” (e si sente), ma “Facce di nylon”, “Occhiali scuri al mattino” e “Le superscimmie”, intervallate dal solo respiro di Candele, sono una sequenza di colpi che stenderebbe chiunque: testi almeno approssimativi, strutture discutibili, impatto nullo. O peggio.

Il “trittico finale del deserto” risolleva di qualcosa la valutazione complessiva ma, d’altra parte, sembra -per alcune scelte sonore- acuire ancora il confronto perdente con la produzione precedente.

Difficile essere d’accordo con Palazzo che scrive di “Aloha” “la cosa migliore che abbia mai fatto”, quando un pajo di giorni fa un inspiegabile random sul lettore mp3 mi ha regalato il pezzo che chiude il già citato “Sei na ru mo’no wa na’i”, ‘bellissimo’ senza che “Come ombra” sia mai stata insignita di un qualche titolo tipo “la più bella dell’album”.

Ne “Il fiore dell’agave” c’è una certa omogeneità di fondo, i suoni sono spesso buoni, Magistrali ha lavorato bene. E' proprio la sostanza che sembra mancare o essere limitata.

Nonostante la sbandierata continuità, il Santo Niente di adesso ha poco da spartire con i fasti di un tempo.

Non basta un logo che regge bene al passare degli anni.

Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.