Ascoltare “Scatola nera” è stato un po' come spiare di nascosto nelle pagine di un vecchio manoscritto dove personaggi, abbozzi di atmosfere e paesaggi ci immergono in una dimensione favolistica. Sembra un mondo popolato da anime immaginarie, dove ogni identificazione è possibile, che non permette innocenza e nel quale hanno accesso solo gli adulti. Eppure, ogni storia può essere accolta nel bambinesco equilibrio di stupore e immaginazione, come se l’infanzia, custodita in una scatola nera, volesse trasformare la realtà degli adulti da ombra a fantasia luminosa. Inoltre, una caleidoscopica lente sonora impasta questo disegno di “altrove perduto” con sinfoniette autunnali alt-country, romantiche sperimentazioni, digressioni jazzy, e musicalità giocattolo; ecco perché l’atmosfera del disco sembra quella di un circo di periferia dove l’innocenza vince sulla violenza.
“Scatola nera”, apparentemente grezzo e poco elaborato, si dispiega su canzoni intimiste e carezzevoli, secondo la forma ballata. Il tocco del cantautorato, con arrangiamenti vintage e dall’orecchiabilità inattesa e sghemba, apre la scatola nera in cui sono depositate dodici conchiglie, lasciate sulla spiaggia da uomini tristi e poi raccolte da bambini in cerca di avventure: si tratta di dodici tracce che parlano di storie senza tempo. Come quella di eroi in cammino lungo strade aride e dimenticate (“Terra senza pioggia”), di spazi ghiacciati da addii (“Tekeli – li!”) o di fallimenti (“Strada chiusa”). Ci muoviamo in territori alt-country, a volte solari e corroboranti (“L’elefante”), a volte malinconici e screziati (“Il pescatore di perle”) dove smagliature di sole irradiano magia.
L’album si muove fluido con il suo circolare respiro che è quello di un bambino in una soffitta polverosa, piena di giocattoli e con una scatola nera in mano. Da aprire per scoprire cosa nasconde.
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