Margherita Pirri ha dalla sua un talento innegabile e cristallino. Sviluppato nel corso di una carriera artistica breve (ma poi mica tanto…) e ricca di soddisfazioni: non è da tutti musicare le sfilate parigine di tale Giorgio Armani, prendersi una scartavetrata di applausi dai convenuti e chiudere il cerchio con tanto di benedizione offerta da un quotidiano come “Le Figaro”. Eppure, ci si consenta la battuta, la musicista milanese è rimasta umile, continuando a produrre musica come e quando voleva, spaziando dal pop d’autore al lounge, senza mai abbandonare una vivace autarchia che l’ha portata ad autoprodursi tutti i suoi dischi. Compreso l’ultimo, “Pensieri”, con il quale Pirri riscopre le sue origini cantautorali.
Messa da parte (anche se non del tutto) l’elettronica dei due “Folktronic”, Margherita Pirri torna a una dimensione più intima, forse più personale. Gli arrangiamenti sono essenziali, idem la strumentazione, che prevede un pianoforte, le corde di una chitarra acustica, la presenza di qualche violino e una spruzzata di synth. Ne escono fuori canzoni delicate (“Cara Milano” e “Briciola di polvere” sono state recuperate dal passato e rimesse a nuovo), percorse con passi felpati, dolci ma non sdolcinate, guidate da una voce dotata di una personalità fortissima e incisiva, che non urla ma nemmeno sussurra. “Pensieri” è un viaggio che si snoda attraverso treni che passano una sola volta nella vita, tra amori, ricordi che possono far male, vuoti da colmare, diari da riempire. Un sali e scendi di emozioni e sentimenti senza nemmeno sfiorare il rischio di una facile caduta nella stucchevolezza. Per chi ama una dimensione intima e raffinata, per chi crede che si possano scrivere canzoni leggere ed eleganti e al tempo stesso affascinanti. L’ascolto di un gioiellino come “Fiore rosa” dovrebbe contribuire a scansare ogni dubbio.
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