Earthground Combination
s/t 2005 - Rock, Elettronica, Alternativo

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Il dub ha un approccio serio alla musica. Parecchio serio. Sin dagli anni '70, gli anni in cui accidentalmente e molto naturalmente si creò il dub. Dal far girare il lato B dei 45giri per le improvvisazioni e gli sfoghi dei dj ai contenuti forti e diretti. Alla fine acquistò un’ efficace senso di attiva opposizione, di contrasto e di rivoluzione e si legò quasi per sempre al reggae e alle proteste giamaicane. Oggi in alcuni maleducati casi il dub diventa un misero sinonimo di riduzione di suoni fino all’inconcepibile minimale. Non è proprio così.

Gli Earth Ground si categorizzano come produttori di musica dub. E in effetti la musica ci somiglia pure. Forse pure troppo se quel somiglia si trasformerà in ricorda cose già sentite.

I beat sono calmi e perseguitati da indolenti filtri e riverberi pigri come da copione originale, niente di clamorosamente nuovo. Le atmosfere riproducono un’idea corretta del dub, ma manca qualcosa. "Serious Dub" è l’album opener, una traccia seria nell’intenzione ma scontata nel risultato. Il riferimento al dio Jah e al king Silassie Haile, l’imperatore d’Etiopia messia della cultura rasta, è così ripetitivo che annoia, tanto quanto la gran parte di un disco che ha l’assurda pretesa di suonare come Mad professor decretando l’ ambizione severa e distante. "Fayah" è una canzone "solita", cantata da una buona voce capace pure di attirare l’ attenzione se si segue il flow elaborato e le discrete metriche, quasi dimenticando però che potrebbe dire qualcosa invece di ripetere tre frasi avventate per tutta la durata. "Mo’ Fayah" è la sesta, già il titolo ne segnala la ripetizione della suddetta e di un concetto molto profondo e già abbastanza profondamente approfondito del reggae. "In Africa" illude di originalità all’inizio ma poi si allinea tristemente all’impasto quasi privo di variazioni .

Certo i beat ricordano il dub, se si fa riferimento agli effetti classici del genere, ai suoni meditativi, alla sensazione consciuss tipica, ma l’esito è semplicemente poco elaborato su una strumentale che sembra quasi la stessa per 8 canzoni.

Considerando la paternità inglese della musica dub si ascoltano sicuramente innesti di suoni, vibrazioni ed effetti tipicamente d’oltremanica, ma in questa caratteristica conformata vien fuori il peggior difetto di questo disco: quel "respect to roots and culture" diventa un ripetere frasi vecchie e consumate come le origini, suoni assodati come i numerosi rifacimenti alle radici di una cultura che oggi è cresciuta molto, si è evoluta notevolmente e potrebbe realmente esclamare tanto anziché accennare l’usuale.

Un disco ben fatto ma che dice ben poco.

Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.