Umberto Maria Giardini
Toilette Memoria 2006 - Cantautoriale

Toilette Memoria

Noia o grande ispirazione? Clone irreversibile o stimolante artista? E’ normale porsi queste domande quando si mette nel lettore un disco di Moltheni. In particolare al primo ascolto di “Toilette memoria”, quarta fatica discografica del cantautore marchigiano, ormai trapiantato a Bologna. “Natura in replay”, l’opera prima, risentiva abbondantemente del marchio dell’amica Carmen Consoli e del compianto Francesco Virlinzi. “Fiducia nel nulla migliore” cercava qualcosa in più, ma dichiarava ancora una volta un amore troppo grande, talmente elevato da somigliargli troppo e quell’amore si chiamava Manuel Agnelli. Poi venne “Splendore terrore”, nel 2005, e qui si cominciava a scoprire un Moltheni che dava i primi segnali di autonomia: un disco intimista, introspettivo, minimalista. Riverberi di Drake, Sylvian, e della scuola cantautorale legata alla musica scarna ed essenziale, vagamente psichedelica, e decisamente “ambient”.

Ora giunge questo “Toilette memoria”, soltanto un anno dopo il precedente. Segno di un momento di grande ispirazione per Umberto Giardini (così fa all’anagrafe Moltheni). Al primo ascolto ecco un primo parere: noia, con qualche picco sporadico. La song d’apertura, “Io”, annuncia l’ideale proseguimento della linea tracciata in “Splendore terrore”, con la sua lentezza minimale. Al secondo ascolto, ecco che gli spunti più melodici e pop entrano meccanicamente (“L’età migliore”, “Nella mia bocca”). Gli ascolti successivi fanno invece vibrare, emozionare, incuriosire. Ed una voglia matta di rimettere il cd da capo. Il classico album, insomma, che va capito in profondità, che va scoperto con pazienza. L’incedere morriconiano di “Eternamente, nell’illusione di te”, gli episodi strumentali (“Requiem per la Repubblica Italiana” e “Deserto biondo”), gli slanci beat-pop (“Minerva”), dolci nenie (“Bufalo”, “Nel futuro potere del legno”). Impreziosiscono l’opera interventi illustri di amici quali Alberto e Luca Ferrari dei Verdena (la conclusiva “Cavalli sciolti del nord”, dai chiari accenti psichedelici, inevitabili, visti gli ospiti), o Carmelo Pipitone dei Marta Sui Tubi, a dare man forte con la sua steel guitar in “Deserto biondo”. E poi il maestro Franco Battiato. presenza illustre ma non ingombrante in “Sento che sta per succedermi qualcosa”, dove canta (?!) con voce filtrata, spettrale, su di un pianoforte che la sostiene inquietante.

Sono tredici brani che ci mostrano un Moltheni che sembra finalmente aver trovato il suo cammino personale. Non completamente originale (rimandi ai vari Agnelli, Basile, Dulli e compagnia bella nei momenti più pacati), ma con chiare mire verso un’autonomia fortemente voluta. Questa è la strada. Per continuare a farci sognare così.

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