Ten Thousand Bees
Polar Days 2006 - Rock, Psichedelia, Pop

Polar Days

Enrico Molteni si aggira per un prato enorme. Cammina piano. Presto questa distesa meravigliosa dove oggi viene organizzato un appassionato festival di provincia sarà tagliata da una strada. Asfalto e cemento. Non ci saranno più gli alberi, le tensostrutture, le ragazze carine a dare la birra. Si sposteranno altrove, e altrove non è mai lo stesso. Enrico cammina piano e lo saluto. Suonano i Tre Allegri Ragazzi Morti stasera, lui ne è il bassista. E’ sempre il più bello dell’indierock, dice qualcuna. Mi consegna un disco. Mi dice che è dell’associazione culturale che ha tirato in piedi assieme a Marco e Lorenzo Pilia: Knifeville. Maniago. La città delle coltellerie e dei coltelli. Mi parla del progetto. Di questa etichetta che produrrà solo gruppi della città, con il contributo economico della città stessa. Per prima cosa mi vengono in mente Calvino e “Prova a star con me un altro inverno a Pordenone”. Per seconda cosa penso che questa copertina di fiori viola verde e rosa sia stupenda.

Poi passa un’estate. Un agosto che potrebbe sembrare l’autunno, ma forse è più settembre in cui non capisci che tempo fa. Piove, ci sono piccole gocce che scivolano sulla finestra, poi viene fuori il sole. Gigioneggi camminando per casa. Rifiuti di diffondere la musica in tutta la stanza. Per conservare un rifugio ancora più lontano, infili le auricolari e attraversi il vetro della finestra. Sei fuori. E’ l’ultimo temporale d’estate. Il sapore umido della fine è il sapore dell’aria.

Giorni polari. Giorni morti di notte. Piccole gioie dal sapore privato. Folk e influenze kraut senza disdegnare accelerazioni ritmiche. Pop e indietronica perdutamente adolescenziali, e non crescere mai. Se dovessi spiegarlo a un bimbo, proverei con un tenta di immaginarti i Blonde Redhead che incontrano i Lali Puna. E gli direi anche di imparare l’inglese, chè l’inglese serve. Cerchi nell’acqua che rimandano per assonanza a Benvegnù, ma che invece paragonerei a dei Pecksniff decisamente meno confusi, per essere semplici, tanto per dimostrare che anche in Italia è possibile fare dell’indiepop validissimo. Senza rincorrere gli svedesi, ch’é sempre meglio tentare di fare il Nostro piuttosto che stare sempre ad inseguire un loro. Poi glockenspiel si poggiano su piccole pennate di chitarra domate da tamburi suonati piano. Crescendo lento, qualcosa di molto diverso dall’andamento lento. Sono passati neanche venticinque minuti e un dolcissimo turbine sembra essersi compiuto.

“Polar Days” firmato Ten Thousand Bees. Sciami d’api congelate. Potenza di rarefazione dal mondo. Un disco che è una sorpresa. Una sorpresa che ha il sapore della quiete dopo la tempesta. Un sapore che è l’arcobaleno.

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