Nohaybandatrio
(tsuzuku) 2006 - Punk, Jazz

(tsuzuku)
23/11/2006 Scritto da Pseudo

A me i dischi come questo mi fanno impazzire. Mi piacciono troppo. Perché secondo me (parte della) musica contemporanea deve provocar(mi) un effetto in particolare, fra i non molti di cui desidererei essere vittima: non avere la più pallida idea su come definire quanto mi ritrovo ad ascoltare. Trattasi di sensazione lugubre e al contempo eccelsa. Comunque. Cazzi miei.

Qui ci sono tre signori musicisti – Fabio Recchia, già produttore di Zu e Brutopop; Emanuele Tomasi, sound designer e con i Micecars; Marcello Allulli, jazzista già con Kenny Wheeler, Tony Scott e Art Blakey - che hanno messo in piedi un sestetto nato da una session d'improvvisazione. Si, esatto: sono in tre ma suonano ciascuno due strumenti contemporaneamente. Senza parti pre-registrate.

Niente paura, cuori deboli che cercano a tutti i costi il genere cui appigliarsi: il risultato è spiazzante (neanche troppo) ma melodico. Graffiante, malefico ma fruibile anche da chi detesti questo tipo di esperimenti e parta pregiudizialmente ostile.

Di solito – non sapendo appunto come definire quanto si ha in cuffia - a questo punto si dice qualcosa tipo: "il trio riesce ad unire la potenza e l'impatto del rock e dell'hardcore a temi che sembrano scritti per colonne sonore passando per strabordanti tirate noise". Cose così.

E infatti proprio questo c'è da dire: se a tratti ("Acquolina") il suono si fa sincopato, potente ed imprevedibile, altrove i tre scatenati musicisti danno spazio a oscure, altalenanti e cinematografiche suites che sfiorano il rumorismo puro ("Bon 1p", "Bon 2p", "Bastardi Alieni ridateci Elvis"). Così come zompano poi fuori, d'improvviso, ricorsivi ed allucinogeni arrangiamenti post-rock ("Tsuzuku") o veri e propri brani fusion ("Il Tukatì") che – pur nell'opera di costante ed impassibile sfilacciamento armonico - tornano a farsi, come comprensibile visto il contesto in cui sono immersi, più "facili" per l'orecchio.

Ho un solo, vago riferimento, ecco: se però non scandalizza le vostre menti pregiudizialmente orientate. Gli echi sono migliaia e non vorrei certo risalire a Zorn per farmi capire. L'approccio può essere, per esempio, quello dei Mars Volta. Ma – sia chiaro – con molti molti meno tecnicismi e molta più tecnica, molta molta morbidezza e molta molta più intelligenza compositiva. E – ovviamente – declinati secondo la logica jazz-core – il peso del sax di Allulli è fondamentale.

Quindi tutta un'altra cosa. Solo per dirvi qual è la lunghezza d'onda. Quasi un primascelta.

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