Marcho’s
L'odore della felicità 2007 - Pop, Elettronica, Patchanka

L'odore della felicità

Cosa sarebbe successo se Celentano fosse nato negli anni 80 e non fosse diventato immediatamente famoso, evitando la crisi mistica che nel 61 lo portò a diventare quel baciapile che sappiamo? Probabilmente frequenterebbe qualche centro sociale, si sfonderebbe di quassicosa e canterebbe nei Marcho’s. Già, perché delle molte strade che il trio friulan-veneziano apriva davanti a sé nel primo disco, questa è quella intrapresa: ascoltate l’attacco di “Resistere” e ditemi se non è puro Adriano. In più ci sono quei ritmi ballabili e pesantemente cadenzati che attraverso ska e patchanka affondano le radici nell’umz-umz da sagra paesana che è il tratto distintivo di tutto ciò che è dance italica. Una voce maschia e profonda che sa di alcool e sigarette disegna italiche melodie cantabilissime e di grande presa. Testi che spesso sembrano la cronaca di una serata in un centro sociale. Il tutto rivestito di elettronica giocattolosa da Gameboy Nintendo. Detta così, questo disco avrebbe tutto quanto ci vuole per non piacermi. Eppure. Invece. Finisce che più lo ascolto più mi piace. Per tre motivi. Primo, una certa alchimia impalpabile, per cui con gli stessi ingredienti che di solito danno vita alla solita sbobba centrosocialista i Marcho’s riescono a confezionare un originale prodotto artistico. Secondo, i Marcho’s scrivono grandi canzoni: la loro combinazione di melodia tipicamente italica ed elettronica leggera fa scintille e riscatta dal già sentito. Terzo, i testi. Che contengono una realtà umana così vera, gettata in faccia a chi ascolta senza il minimo pudore, che, pur non essendo propria di tutti, non può non colpire e toccare nel profondo. “Quel che sono”, ballata post-nazional-popolare, ne è il manifesto migliore: la confessione di vita in crisi di Marcho’s al termine dei suoi 4’ e 19” vi avrà stretto il cuore. Questa debolezza esibita (in cui l’incertezza esistenziale diventa espressivamente incertezza metrica negli stacchi), fa da perfetto contraltare alla grevità machista goliardicamente esibita nei cori da sagra di “Dammela” o nella melodia spiegata e vagamente psichedelica della coda di “Sibilo” (“Sperma, sperma / volteggia fra di noi / sperma, sperma / disseta la tua sete”). La bellezza di questo disco sta nel fatto che la gioia di vivere sconvolti mostra il proprio fondo tragico, esibendolo alla platea del mondo. È l’allegria senza fine di altri Tre Allegri Ragazzi Morti, un disegnarsi fumetto, uno di quei personaggi caricaturali da manga giapponese, tipo Sakurambo di “Lamù”, per coccolarsi e darsi un senso, facendo arte della propria vita. È “Storia d’amore” di Celentano trasposta nel 2007, il senso della sagra strapaesana di Nino Rota. Ascoltate questo disco: comincerete storcendo la bocca. Alla fine, però, sguardo fisso, occhi quasi lucidi, e un magone grosso così in mezzo al petto.

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