Alessandro Grazian
Indossai 2008 - Cantautoriale, Pop, Acustico

Indossai

"Indossai" è stato un parto travagliatissimo. Già nell'inverno scorso Alessandro Grazian me ne parlava come di un disco che non avrebbe forse mai concluso: "Continuo ad aggiungere roba". In mente, uno scopo preciso: "Dimostrare di essere un musicista e scrollarmi di dosso l'etichetta di cantautore". Missione compiuta, e senza rinnegare una virgola del suo mondo musicale, anzi confermando i progressi messi in luce con il bell'Ep "Soffio di nero" qualche mese fa. Al confronto, "Caduto", talentuoso ma acerbo esordio, sembra preistoria: radici certo, ma quanto mai lontane. A chi avesse dubbi sulla musicalità messa in campo in "Indossai", basterà uno sguardo ai crediti del disco per rimanere impressionato dalla quantità di strumenti suonati e dalla qualità dei musicisti che collaborano al disco, alcuni già inseriti nel Gotha della musica italiana che conta. Le canzoni sono bellissime e Grazian è un grande cantante, possessore di un bel timbro e ottime qualità melodiche. I punti di riferimento da cui Grazian parte sono da ricercare negli archivi della Rca anni 60: Umberto Bindi, Sergio Endrigo, Luis Bacalov, Ennio Morricone. Ma c'è spazio anche per echi consci del Lucio Battisti strumentale di "Amore e non amore", citazioni forse inconsce perfino di Bowie, suggestioni e influssi dalle tradizioni musicali, anche classiche, di mezza Europa, che il disco attraversa in viaggio: Russia, Germania, Francia, Spagna, Austria. Un viaggio che attraversa anche il tempo: dal primo Ottocento di Puškin, alla Belle époque di Egon Schiele, al primo dopoguerra di Louis Aragon e dell'espressionismo; e forse si citano Svevo e Gozzano. Un tuffo nel passato confermato dal titolo del disco, al passato remoto, e dalle belle foto di Grazian e dei suoi genitori da giovani, artificiosamente invecchiate in modo da sembrare appartenenti agli anni 40. Sarà per questo che la musica di Grazian spesso mi fa venire in mente penombre di chiese, statue e soprammobili di marmo, muri ricoperti di edera. Nei testi ci sono meno paroloni difficili (alla fine, uno o due), ma rimangono piuttosto ermetici: è come se Grazian cercasse di rinominare la realtà e la vita per renderle belle, quasi a proteggersi dalla loro bruttura. In fondo è questo, forse, il significato di questo viaggio mitteleuropeo nel tempo perduto: riscoprire le radici per disegnare un presente diverso, aristocratico e non volgarmente plebeo. E chissà, forse non è neppure importante capire la lettera dei testi: come nel primo De Gregori basta l'evocazione che da essi, dalle musiche, dalla voce di Grazian si sprigiona. Un disco importante, che dimostra come si possa essere cantautori moderni senza vestirsi da sfigati, accompagnarsi con la chitarrina, essere incazzati o cercare di riuscire simpatici a tutti. Soprattutto essendo musicisti. Veri.

Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.