Morkobot
Morto 2008 -

Morto

Un baratro sulla follia. Sempre meno easy-listening. Sempre più cinici, sornioni e geniali. Sempre più fuori luogo. Con due bassi e batteria afferrano quella libertà di forma che gli Zu hanno portato nel mondo e mettono tutto a soqquadro. Non hanno travolto il jazz con l'hardcore. Hanno frantumato il concetto aprendone le arterie e lasciandolo cadavere. La coltellata al petto dei primi trentacinque secondi di "Morto" è il ghigno furente di un'idea consapevolmente ben più elevata di qualsiasi altra stramberia elettrica attualmente in circolazione. Perché ora non ci sono più Lightning Bolt che tengano. Un'opera mai così unitaria e concreta, visivamente poderosa nelle sue lunghe variazioni dinamiche tra crescendo e digressioni, cerebralismi d'atmosfera ed efferatezze metalliche. Un suono mai così crudo e controverso, eterogeneo e deflagrante. "Morto" è il monolite unitario (quella lapide argentea che si staglia sul nero nulla?) nel quale i tre lodigiani condensano pezzettini di suoni formule stramberie violenze rigurgiti dai due precedenti lavori, riuscendo a decomporre e ricreare anche laddove già stupivano. Impossibile ricostruire qui il percorso cinematico dell'album. Ma se l'ultima parte del disco zittisce quell'imbavagliamento critico che relegava i Morkobot all'hardcore tout-court o al suono nevralgico della scena di Chicago (quella appesantita dai Don Caballero), è proprio la scoperta del lato meno rumoroso ed immediato a suscitare interesse ed ammirazione per "Morto". Tra costruzioni e reflussi kraut-rock, psichedelia vergine e avanguardia rumoristica, l'uso smodato dell'elettronica a pedale lascia spazio a una maestria palese nella creazione di atmosfere primordiali e penetranti. Sono ipnotiche cordiere di pianoforte e avanzi di carpenteria metallica, come ticchettii e dissonanze nascoste e sovrapposte a suggestioni atonali.

E' rumorosa, difficile, oscura. Ma è arte. E dal vivo capovolgerà le vostre certezze.

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