Nicola Conte
Rituals 2008 - Jazz, Latina

Rituals

Poveri e abbienti. Cibo per squattrinati e ristoranti danarosi. Fanzine e coffe table books. Canzoncine per conigli e musica per benestanti. O meglio club esclusivi per benestanti che s'illudono di suonare musica che varrebbe quanto i loro splendidi portafogli. Ma. Gli assoli romantici al sax alto o tromba, il vibrafono, oppure la leggerezza elettrica di piano e bassline del terzo disco di Nicola Conte appartengono a chi se lo ascolta e no a chi paga il conto. Un suono non ha un peso monetario. Quasi non più e da nessun punto di vista. Non è un barile di trip-hop che misto a lingotti di jazz-funk dà chili di sperimentazione electro-fusion. Ormai è vivere e sopravvivere. Mangiare e abitare. Si, abitare sul Blue Note e passarci davanti, per esempio. Che è l'unica cosa che non costa. Ci sono entrato solo una volta, con gentile accredito, a vedere Billy Cobham. Perché va bene tutto, ma sentirmi la batteria di Billy Cobham sotto il culo proprio no. Certo che lo slogan resta "W il jazz a prezzi popolari", come qualcuno ha sapientemente scritto con lo spray affianco al noto jazz-club milanese (non sono stato io, giuro). La premessa diffusa è che quando parli di jazz parli di una cosa complicatissima, per esperti, una gigantografia di un mondo misterioso riservato alla casta dei sapientoni. Il Jazz è per gli appassionati di musica vera, mica l'indie-pop, quelli che sanno i nomi impossibili tipo Axelrod o Ritenour e tutti gli strumenti usati nei dischi di George Benson. Ma siamo veramente sicuri? Non è boria né vanagloria, ma la più grande lezione del nu-jazz è proprio lo svincolamento forzato dai presupposti accademici del genere. Nicola Conte ne è una prova. Ovviamente sulla scia di personaggi altalenanti, un po' jazz e un po' tutt'altro, la prospettiva di "Rituals" è internazionale appunto perché non si auto-impone nessun limite di raggiungimento. A tutta la gente. E non è un disco che si è banalmente venduto al Pop, come spesso succede in Italia anche per i progetti più nascosti. "Karma Flower" con la voce di Chiara Civello, sottile come flauto e arpa tra drums e congas, è il post-scriptum di "I know You know" di Esperanza Spalding, talento del basso, del sorriso e della sensualità free jazz degli States. Dubito che qualcuno definirà mai Nicola Conte come genio di qualcosa. Perché la genialità, sapete bene come la penso, è un momento rarissimo tipo l'orgasmo clitoridale di un piccione africano. Sicuramente "Rituals" ha una mente dietro e una progettualità coerente, matura e raffinata per quanto risulti urban e improvvisato. Di base però toglietevi dalla mente che esiste la musica per i ricchi. Nell'Italia fighetta in cui tutto è una lotta, sarebbe bello e necessario che Thievery Corporation o Gotan Project al pari di Lonnie Liston Smith sfondassero con leggerezza l'immaginario enciclopedico comune. In quel modo Jazzanova, 4hero, Cinematic Orchestra e mille altri personaggi entrerebbero più facilmente nel dizionario musicale generale. Di cui Nicola Conte sarebbe massimo rappresentante per noi (assieme a Mario Biondi). L'uomo di casa, a livelli non casalinghi. Il biglietto da visita con un set colto, coinvolgimento di leoni di nuoca formazione come High Five o Deidda Brothers e riflessi eccellenti sul broken beat londinese, ottima attitudine afro, senza estremizzarsi troppo in ambito jazztronica. Insomma le playlist di Gilles Petterson su BBC 1 Extra (settimana scorsa tanto per dirvelo suonava "The Nubian Queens" di Nicola Conte"). "Love In", "Paper Clouds" o "Red Sun", alcuni dei pezzi in cui ha curato parole e musica, sono poveri e abbienti. "Rituals" è per squattrinati, conigli e benestanti. Ad ognuno il suo portafoglio. Ad ognuno la sua bella voglia. Ad ognuno la sua più umile visione del jazz. E' semplice.

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