I 40 anni da culto supremo del Tuffatore di Flavio Giurato

Nel 1982 il musicista romano pubblicava il suo disco capolavoro, diventato uno dei tesori più nascosti non nascosti del nostro cantautorato: testi criptici, vocalità dirompente, lunghe suite e brani abbozzati, il tutto in un inedito mix di italiano-inglese. Lo celebriamo ripercorrendone la storia

Elaborazione grafica sulla foto contenuta all'interno del vinile originale
Elaborazione grafica sulla foto contenuta all'interno del vinile originale

“All’alba del 1982 affiora una nuova figura: il tuffatore. Ovvero Flavio Giurato, il quale racconta che, prima di esplodere in un tuffo secco e nervoso, ci vogliono molti anni di preparazione”.

Carlo Massarini

Sono i tempi di Mister Fantasy, primo canale Rai. Un programma innovativo, ideato da Paolo Giaccio, con Carlo Massarini biancovestito al timone. Va in onda dal 1981 al 1984 per un totale di quattro edizioni. La musica in primo piano, veicolata da una quantità industriale di videoclip, una novità pressoché assoluta per l’epoca. A Mister Fantasy passano in tanti, tutti accompagnati dai propri video d’ordinanza. Dai nomi consolidati, leggasi Edoardo Bennato, Banco del Mutuo Soccorso, Gianna Nannini o Eugenio Finardi, ad altri ben lontani dall’immaginario del rock tricolore, come Scialpi, il Gruppo Italiano e Luca Barbarossa, oltre a qualche outsider: i Krisma, Enzo Carella, i Kaos Rock, Garbo. E Flavio Giurato, appunto.

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Lo conoscono in pochi. In pochissimi, a dirla tutta. Anche se non stiamo parlando di un musicista di primo pelo. L’esordio in campo discografico risale al 1974: Giurato ha 25 anni quando scrive una canzone, Madame Marilù, destinata a riempire i solchi di Domenica mattina, album della debuttante Anna Melato, sorella dell’attrice Mariangela nonché moglie del musicista Gianni Mazza. Il cantautore romano dovrà aspettare quattro anni per sfruttare la possibilità di registrare un disco tutto suo: Per futili motivi esce nel 1978 e passerà del tutto inosservato o quasi, nonostante non abbia nulla da invidiare ad altre produzioni coeve. Succede. Succede anche che la Ricordi, la label che ha pubblicato Per futili motivi, saluti il buon Giurato augurandogli migliori fortune.

Gli anni ’80 si stagliano all’orizzonte e Flavio Giurato si trova tra le mani un pugno di nuove canzoni. Le sottopone all’ascolto dell’amico Piero Tievoli, un chitarrista conosciuto un paio di anni prima durante le vacanze estive passate in Versilia. I due ci lavorano sopra per poi bussare alle porte della CGD. Che si aprono, anzi, si spalancano. L’etichetta milanese offre le sue sale di registrazione con la promessa di spedire Giurato e Tievoli agli Air Studios di Londra, dove troveranno due pezzi da novanta a dare man forte: il sassofonista Mel Collins, già con i King Crimson e i Dire Straits, e il percussionista Ray Cooper, vecchio sodale di Elton John. Si lavora tra Roma e Milano, oltre a Tievoli, Giurato si affida alla batteria di Massimo Buzzi, al basso di Vito Cappa, alle tastiere di Toto Torquati. Poi la trasferta a Londra, dove Collins e Cooper disegneranno le loro coordinate, sigillando le 12 canzoni che finiranno all’interno de Il tuffatore e fornendo un contributo decisivo alla riuscita del disco.

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Sono passati 40 anni dall’uscita di un album del quale pochi conoscono la bellezza. Un disco di culto, evocato spesso, celebrato in rete, amato dalla stampa musicale. Qualche anno fa, nel 2003, la No-Reply gli ha dedicato persino una monografia (Racconti e opinioni su Flavio Giurato. Il tuffatore). Eppure Il tuffatore è sempre rimasto confinato ai margini della discografia tricolore. Il suo autore, d’altra parte, non ha mai inseguito il successo. Giurato si trova piazzato al di fuori da ogni schema: lontano dai cantautori politicizzati e dalla loro pretesa di lanciare messaggi, distante da chi ha costruito la propria carriera artistica abusando della rima cuore/amore. Preferisce parlare di sé (iconico il suo verso "Io vivo e lavoro per me", scolpito all’interno del testo di Notte di concerto), di vacanze in perfetto stile borghese a Orbetello, di come le ragazze debbano evitare di andare coi cantautori (“Che poi finisci nelle canzoni…”). Cita dischi, guarda caso, di culto (Wings, di Michel Colombier), parla di salite della precisione, di Walter Chiari, di aerei adatti allo scambio di persone, di tennis, di eroina, di fidanzate che poi finiscono per sposare un altro. A volte certi passaggi testuali possono risultare enigmatici se non criptici, ma è impossibile resistere al fascino di versi come "Una donna alta non è mai banale, sarà per il suo sguardo necessariamente superiore".

Ma se, in 40 anni, Il tuffatore non è invecchiato nemmeno un po’, è anche merito della musica nata tra le session messe su tra Roma, Milano e Londra. Lo scrittore e giornalista Stefano Pistolini spiega con efficacia, tra le pagine di Flavio Giurato. Le gocce di sudore più duro, il bel libro di Giuliano Ciao edito da Crac nel 2020, come la seconda fatica discografica di Flavio Giurato sia arrivata indenne sino ai nostri giorni: “Il tuffatore è un disco straordinario e un caso piuttosto unico nella produzione italiana, ha un respiro internazionale che i nostri dischi non avevano, soprattutto quelli di scuola cantautorale. Il tuffatore aveva qualcosa di raro sia dal punto di vista compositivo, tantissimo dal punto di vista poetico. (…) Gli sviluppi del disco sono assolutamente inconsueti, il respiro dei pezzi va tranquillamente dal brevissimo al lunghissimo, ci sono tante fasi strumentali. (…) Infine è dirompente l’utilizzo della voce di Flavio, sfruttata come fosse anch’essa uno strumento”.

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È altrettanto evidente che tra i musicisti coinvolti nelle registrazioni si sia creata un’alchimia strepitosa. Che si è riverberata nella miccia in salsa free jazz di Introduzione, nei soffici arpeggi di L’acchiappatore dell’acqua, nella maestosità di Orbetello, con la sua magnifica fuga in avanti dettata da pianoforte e percussioni, nella ninna nanna acustica di La stanza del mezzosogno, nella felpata Valterchiari, nella severa Marcia nuziale, nella tragica dolcezza di Simone, nell’elettricità molesta di La scuola di congas, nella rabbiosa Notte di concerto. E poi nel pezzo che dà il titolo all’intero 33 giri: Il tuffatore. La canzone perfetta, la meraviglia concentrata in 1’39’’, corroborata da un testo decisamente fuori sync: “Volevo essere un tuffatore, con l’altezza sotto il naso e il gonfio del costume. Volevo essere un tuffatore che si aggiusta e si prepara di bellezza non comune. E ora voglio essere un tuffatore, per rinascere ogni volta dall’acqua all’aria”.

“Provate – se riuscite a trovarla – una cosa scontata in questo disco”. Come non essere d’accordo con un altro giornalista di lungo corso, quell’Enrico Deregibus che così si esprimeva tra le pagine del già menzionato volume pubblicato dalla No-Reply? Peccato che a poco o nulla siano serviti gli assist forniti da Carlo Massarini, quando Mister Fantasy provò a lanciare dagli schermi televisivi questo cantautore diverso da tutti gli altri passanti. Eppure de Il tuffatore si continua a parlare e a scrivere. Nel 2017, nel corso del Record Day Store, ne è uscita una ristampa: un ulteriore attestato di stima, l’ennesimo assist a chi non conosce ancora questo capolavoro assoluto. Che è sempre lì, sfuggente come chi lo partorì in quel lontano 1982. Nascosto, certo, ma non invisibile. È sufficiente cercarlo.

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L'articolo I 40 anni da culto supremo del Tuffatore di Flavio Giurato di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2022-01-28 15:00:00

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