Il 41esimo parallelo di J Lord

J Lord è capitato alla musica italiana come capitano le cose belle e inaspettate. Campano di origini ghanesi, classe 2004, rappa con stile e consapevolezza portando a spasso l'ascoltatore tra le ingiustizie e la voglia di riscatto a Napoli come a New York

J Lord è spuntato fuori quasi all’improvviso, circa un anno e mezzo fa, con singoli e freestyle come Sixteen e 14 Freestyle. Ai tempi non poteva essere facile immaginare l’evoluzione del suo percorso: giovanissimo, ma già maturo, "vissuto"; un’identità composita tra Napoli e il Ghana e le radici piantate nel rap americano. Cosa poteva diventare un autore così nel giro di un paio d’anni, nei tempi velocissimi della musica odierna? Col senno di poi, il primo album di J Lord No Money More Love si è sviluppato seguendo, con un’accelerazione quasi esponenziale, proprio i binari messi a terra già dalle prime apparizioni sulla scena del rapper di Casoria.

Innanzitutto, perché Lord (classe 2003) ha continuato a crescere davvero in fretta. E oggi – una manciata di singoli e tantissime collaborazioni dopo le prime hit – ci racconta una storia di successo dove le strade sono "ancora attraversate" (Intro), ma non sono più quelle della fame, delle sirene seducenti della malavita e dei suoi guadagni facili. Non sono più le strade delle difficoltà e dell'emarginazione lasciate ormai indietro, grazie alla determinazione di seguire un piano. Che, nella testa del rapper, era chiaro fin dall’inizio.

Una saga di rivalsa con tutti gli elementi classici della fuga dal ghetto: i soldi, i vestiti di marca e le ragazze (Tiffany, Karl Kani Flow, Louie Vee), ma in cui rimane sotto i riflettori una fragilità: l’ombra di una solitudine e di una sincerità che non si ascoltano spesso nelle barre dei rapper.

La chiave di lettura per interpretare tutto questo diario personale sono le parole di Intro. Una sorta di proemio che affronta il rapporto con la scrittura e con gli altri, e che si conclude con l’invocazione all’ascoltatore: "Me sto mettenn’ annur annanz a te / Nun me giudicà".

A seguire, il racconto delle sfide, della solitudine inevitabile di chi si impegna nel lavoro per vincere le condizioni materiali che lo circondano (Catene). Poi, le soddisfazioni e i traguardi, intrecciati in un flusso di imprevedibile idioma meticcio napoletano/inglese e di simboli identitari: dal durag al Karl Kani, passando per l'appartenenza duplice italiana e ghanese, di attitudine gangsta e vena melodica tra soul e r&b.

A proposito di influenze, il secondo binario percorso dal disco segue proprio la rotta del 41esimo parallelo, che unisce Napoli e New York ed è il solco seguito dal rap napoletano fin dai tempi de La Famiglia. J Lord attraversa questa connessione in maniera originale, triangolando il 41esimo parallelo con il Ghana delle sue origini familiari, e appropriandosi con autenticità e intelligenza dello slang, dell’estetica, della consapevolezza razziale che fanno parte dell’esperienza hip hop statunitense.

Niente "tu vuò fa l’americano", insomma: non c’è (solo) imitazione, ma un’ispirazione sincera, che il rapper e il suo produttore di fiducia Dat Boi Dee (re Mida del nuovo rap napoletano, ndr) hanno inseguito viaggiando fino alla Grande Mela per realizzare l’album.

New York è lo sfondo di video e grafiche. La big city aleggia nelle atmosfere, nella varietà delle produzioni e dei suoni di tutte e quindici le tracce: beat dal sapore anni '90 (nel vivissimo ritratto di periferia black The Prayer), trap e influenze r&b, nu soul, caraibiche e disco si alternano tra strumenti suonati, autotune, campioni di Michael Jackson (Tiffany) e un sacco di melodie diverse, consegnate dalla voce di un Lord nella veste inedita (e sulle prime un po’ spiazzante) di cantante.

No Money, More Love guarda sicuramente a sonorità più radiofoniche e pop rispetto agli esordi di Lord. In un senso che, però, sarà forse un'impressione data dall’estetica e dal mood generale dell’album o dalla sua genesi oltreoceano. Per citare Boris, ci sembra "molto poco italiano": poco ruffiano verso l’attuale concetto italico di contenuto pop e radiofonico.

Merito anche di Dat Boi Dee, che riesce a imbastire una produzione dal sentimento pop internazionale e moderno, con un occhio aperto al beatmaking rap e l’altro su un panorama più ampio della musica black. In modo da rimanere a proprio agio sotto l’aria dell’Hudson, pur allontanandosi abbastanza dalle sue solite (e già ottime) produzioni.

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Così come sono a proprio agio i protagonisti dei pochi, ben studiati featuring: Massimo Pericolo sulla toccante Pelle d’oca, storia di un amico scomparso letta attraverso due sensibilità rare nella scena rap; Bresh e Digital Astro sulle super melodiche Dance e Be Mine; Vale Pain in Catene, potenziale bomba pop ritmata e con qualche richiamo afrocaraibico.

Personalità tutte abbastanza diverse da quelle del rapper campano, a cui si aggiunge il compagno di scuderia Vettosi, altro enfant prodige napoletano che sta guardando alla lezione del rap di qualche anno fa per prendersi il futuro. E che mette a segno una delle tracce migliori del lotto: la scurissima fotografia di strada GPS.

Sono diversi i potenziali singoli spacca piattaforme, ma No Money More Love non è tanto una raccolta di brani. Piuttosto un album-entità con una struttura che va letta e interpretata per come è racchiusa tra Intro e The Winner is (Outro). Cioè: divisa tra la mancanza di soldi e quella d’amore, tra Napoli e New York, tra il gangsta rap e la melodia; tra il successo personale e la voglia di restituire alla comunità con cui si sono condivise la fame e il mangiare.

Un album onesto e sfaccettato con cui J Lord punta sicuramente a farsi conoscere da un pubblico più ampio in termini di mercato, ma anche di connessione umana ed emotiva con gli ascoltatori. Un obiettivo che traspare spesso dai testi del rapper di Casoria e dalle sue dichiarazioni.

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Nel mondo materialista dell’industria-musica saremmo subito pronti a bollare discorsi del genere come chiacchiere naïf o ipocrisia bella e buona. Qui, invece, pensiamo a una finestra emotiva preziosa sull’interiorità di un ragazzo che, per quanto possa sembrare adulto, in fondo ha appena diciott’anni e sta vivendo un sogno.

E, attraverso il suo sogno, forse possiamo interfacciarci anche noi con un’idea più alta della musica rap e del significato che assumono le barre per coloro che le scrivono. Un significato troppo spesso nascosto dall'ego e dal cinismo che ascoltiamo quasi sempre nel rap. Ma che, invece, può dire tanto sulla realtà e sulle comunità di provenienza di molte persone, cui entrare attraverso la soggettività di chi le vive e le ascolta, spesso guardando alla cultura nera americana con ammirazione e da posizioni scomode, disperse in una diaspora spietata.

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L'articolo Il 41esimo parallelo di J Lord di Sergio Sciambra è apparso su Rockit.it il 2022-03-29 14:15:00

Tag: Napoli

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