Abbiamo visto il futuro del giornalismo musicale italiano (e ci piace parecchio)

Siamo stati al _resetfestival di Torino e abbiamo messo il nostro canale Twitch nelle mani di sei giovani reporter. Per provare a riempire di senso assieme quello che facciamo, e immaginare come farlo meglio domani

14/10/2021 - 09:32 Scritto da Dario Falcini

Il punto è che "La gente non sa più quando stiamo facendo. Ti chiedi dove chi? Perché quando?". Tutte domande che sono dentro di noi, e però, come ben sa ogni fan di Corrado Guzzanti (e quindi ogni persona dotata di senno), la risposta è sbagliata. Ora, senza arrivare al parossismo e al parodismo di Quelo, ogni tanto farsi delle domande, anche le impegnative, è non solo giusto, ma necessario. Soprattutto oggi che il mondo cambia ogni 500 giorni, e soprattutto chi fa il nostro mestiere, quello di chi prova a raccontare la realtà (per lo meno, quella a cui riesce a giungere).

Abbiamo quindi provato a domandarci dove sta il futuro del racconto (se volete chiamatelo pure giornalismo, non ci offendiamo affatto) musicale. Su quali piattaforme, con quale linguaggio e quali obiettivi. Pensiamo sia decisivo, e non solo per noi. Per questo abbiamo risposto entusiasticamente "obbediamo" quando gli amici di _resetfestival, evento torinese che da 13 anni si interroga sul cambiamento in ambito musicale, ci hanno chiesto di dare una mano all'organizzazione di un corso pensato per giovani reporter che si vogliano avvicinare al settore.

Al termine di quattro giorni molto intensi abbiamo messo il nostro canale Twitch (e ci teniamo molto, al nostro bel canale) in mano alle sei "allieve" del corso, per una diretta di due ore che raccontasse il festival, ospitato a Off Topic a Torino. Quello che trovate qua sotto è il risultato, la parte tecnica è stata curata da The Pepegas Team. Alle nostre reporter abbiamo inoltre posto l'impegnativa domanda da cui siamo partiti anche noi: dove vedete il futuro del racconto della musica?

Eva Amabile

Reset festival, Torino, ottobre 2021.
Il rapper e cantautore Ghemon, ospite di un talk, esprime un concetto semplice, ma per niente banale: il lavoro del cantante deve guardare al futuro; nella stesura del testo, infatti, egli prevede i mutamenti che influenzeranno gli ascoltatori e la società in generale, di lì fino alla pubblicazione del brano.

Già da oggi, quindi, è importante interrogarsi su come dovrebbe essere il lavoro del giornalista musicale in quel futuro prima citato. Sarebbe bene che i narratori di musica facessero al contrario un passo indietro, per raccontare il processo creativo dietro al prodotto che arriva al pubblico fatto e finito.

I giornalisti, infatti, perdono sempre più il ruolo di intermediari tra la musica e l’ascoltatore, che vi accede facilmente e si pone come giudice indiscusso. È necessario quindi che essi tengano vivo il racconto, donandogli memoria, soprattutto in un mondo dove la vasta quantità di materiale impone un ascolto frettoloso e superficiale.

Arianna Maretto

A partire dalle piattaforme più utilizzate da giovani talenti e artisti affermati come Spotify, la musica in futuro continuerà a mischiarsi: la “Febbre del Feat” si espanderà ancora con nuove contaminazioni, troppe e troppo profonde, da non poter più incasellare un brano in una categoria senza guardarsi intorno con fare circospetto: il pop, il rock, il jazz puro non esisteranno più come li intendiamo ad oggi.

A questo punto, anche le recensioni musicali subiranno cambiamenti: il focus non sarà più solo sulla ricerca dell’espressione creativa insita nella contaminazione dei diversi generi, ma darà molto più significato ed anche soddisfazione accogliere il brano come rappresentazione di una sensazione, e come tale non potrà essere liquidato con una descrizione in stile matematico, ma andrà invece vissuto e ascoltato sulla pelle, interpretato.

Un avvicinamento pienamente emozionale ed anche filosofico a tratti, che pone il giornalista musicale nella condizione del “Vate”: egli si contrappone alla enorme mole di materiale prodotto online con un approccio romantico e introspettivo, per scoprire nuove interpretazioni ed osare a ragionare su ciò che è più sottile, combattendo così l’età della quantità e del rumore.

La musica, tuttavia, resterà per regalarci emozioni. Per quanto possano cambiare le note o le modalità di ascolto, si troverà al solito posto, in un vecchio bar del centro dai vetri appannati o nella nostra tasca sinistra, pronta a sorprenderci e darci sollievo.

Nello studio allestito negli uffici di The Goodness Factory - foto Marzia Benigna
Nello studio allestito negli uffici di The Goodness Factory - foto Marzia Benigna

Alice Barbera

Il futuro del racconto musicale anzitutto dev’essere su internet, per permettere a chiunque di raggiungere delle informazioni con le quali relazionarsi in maniera interattiva ed immediata. Non deve dormire mai e resistere ai cambiamenti imposti dall’evoluzione tecnologica.

Deve dare la possibilità concreta a chiunque di aggiornarsi costantemente e di poter sviluppare ed esprimere un pensiero critico sulla musica. Dev’essere chiaro e semplice, per poter raggiungere un pubblico il più ampio ed eterogeneo possibile. 

Deve provenire dal basso, dev’essere "provinciale" e indipendente. Deve creare nuovi tipi di aggregazione. Dev’essere un faro nell’esteso mare dell’industria musicale. Dev’essere un mediatore, un ponte, il Prometeo della musica.

Fino a quando avremo l’urgenza di comunicare ogni nostra esperienza esisterà il racconto, fino a quando avremo l’urgenza di animare culturalmente la nostra comunità esisterà la narrazione della musica e fino a quando esisteranno i curiosi, esisterà il giornalismo musicale.

Clarissa Ciano

Raccontare la musica significa sapersi muovere tra l’online e l’offline; tra i bit e l’inchiostro. Il futuro del giornalismo musicale è un meraviglioso ibrido che si muove tra podcast e magazine, che rovista tra i trend di Tik Tok e le tendenze di YouTube imbattendosi nelle playlist di Spotify e nei reel di Instagram. Perché il compito del giornalista è di raccontare come la musica si fa spazio su nuovi media e diventa teatro del reale, riflesso dell’istante e colonna sonora di una nuova generazione.

In redazione - foto Marzia Benigna
In redazione - foto Marzia Benigna

Giulia Massarelli

Per un consumo sfrenato di una musica che va a peso - eppure così leggera - non ci sarà più il tempo dell’ascolto, del planare sopra le cose, ma sarà tutto sempre più rapido, effimero. Se penso al giornalismo, penso al cammino, alla ricerca, che sarà sempre più digitale: uno skippare da un brano all’altro. Il problema attuale è che la quantità di materiale - a discapito della qualità - è inversamente proporzionale al tempo dell’ascolto. Si dovrà, dunque, trovare un compromesso.

Oltre alle videointerviste, che raccontano l’artista rendendolo ‘più vero’ – evitando quella torre di babele di fake news - un altro modo di raccontare la musica, potrebbe essere quello di creare playlist giornaliere. Dunque, il giornalismo musicale del futuro, non sarà più fatto di parole, ma sicuramente di immagini – perdendo parte della "figurazione dell'invisibile". Il critico, quindi, potrà raccontare la musica tracciando liste musicali. L’ascoltatore, di conseguenza, diventerà critico musicale di sé stesso.

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L'articolo Abbiamo visto il futuro del giornalismo musicale italiano (e ci piace parecchio) di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2021-10-14 09:32:00

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