Achille Lauro, la rivoluzione non è un giro sul tagadà

“1990” è l'assordante conferma che i ’90 sono di nuovo egemoni. La raccolta di classici dance rivisitati suona bene e farà piacere ai 30/40enni, ma finita la nostalgia rimane davvero poco

Achille Lauro in versione bambola per il lancio di "1990"
Achille Lauro in versione bambola per il lancio di "1990"

Lauro De Marinis aka Achille Lauro è nato nel 1990, e quel decennio l'ha vissuto da bambino. Saprà per sentito dire che i Novanta non erano proprio gli anni del grande mash up: ogni tipologia di persona, ogni stile, ogni moda se ne stava nel suo orticello e non veniva contaminato dall'esterno. Poco internet che andava lentissimo, i primi cellulari-mattone con cui scambiare sms che sembravano codici fiscali, e poi l'old school: chi suona, suona, chi va in discoteca, va in discoteca, chi suona e va in discoteca è un animale strano da esibire allo Zoo di Pistoia. 

S'intitola proprio 1990 il primo album che Achille Lauro fa uscire per Elektra: un rapido sguardo alla tracklist e capiamo subito che si compone di canzoni e pezzi di diario. Le canzoni sono tutte rielaborazioni dei classici degli anni '90, di quelli truzzi da ascoltare nelle discoteche di provincia o al luna park, mentre nell'autoscontro o sul Tagadà, assaggiamo per la prima volta qualche morso di vita violenta.

La canzone che ha aperto le danze la conosciamo ormai a memoria, perché è uscita un po' di mesi fa: si intitola 1990, apre sulle note scazzate di Be My Lover di Labouche e setta il mood dell'intero disco, che sembra prendere in prestito la gioia senza pretese delle canzoni con la cassa dritta, che ripetevano un milione di volte una singola melodia o qualche frase, per trasformarle in brani riflessivi, ombrosi, disperati, perfettamente in linea con la poetica grunge che faceva da contrappunto alla discoteca nei '90s.

Ci sono – quasi – tutti i pezzi icona di quel periodo: Scatman (ribattezzata Scat Men) di Scatman John col feat. di Ghali e Gemitaiz, Me and You di Alexia (che diventa You and Me), coi feat. della stessa Alexia e di Capo Plaza, The Summer is Magic (nuovo titolo Summer's Imagine) di Corona col feat. di Massimo Pericolo, Blue (Blu) degli Eiffel 65 che si prestano anche come feat. e poi due escursioni fuori dal decennio:  Illusion (I Wanna Be an Illusion) di Benny Benassi, rifatta con lo stesso dj, che è stata pubblicata nel 2004 e Sweet Dreams degli Eurythmics, datata 1983, che vede come vocalist Annalisa.

È un animale strano questo disco, proprio come il tipo che nei 90s andava in discoteca e poi suonava in una band. Prima l'ho ascoltato con una certa attenzione, come si fa coi dischi suonati di quel periodo, che si comprano in edizione fisica e di cui si leggono i testi, le note, si guardano le foto e si impara tutto a memoria. Poi, gli ho dato ascolti distratti, come si fa con le canzoni da discoteca degli anni '90, ché al sesto passaggio del ritornello di What is Love? – grande assente – non sai neanche più da quanto dura. Com'è? Non l'ho capito neanche io. È un'operazione concettuale e insieme una zarrata epocale e già solo per questo racchiude in toto lo spirito degli anni Novanta, dei cortei studenteschi e insieme delle pastiglie per ballare e per innamorarsi. 

Come raccontare quegli anni a chi è nato in quel periodo e quindi ha vissuto l'adolescenza nei 2000, o addirittura a quelli che sono nati nel decennio successivo e ascoltano per la prima volta certe melodie facili facili? Bella domanda. Io ero adolescente proprio nei 90s e quando mi guardo indietro, i ricordi perdono definizione e connotati. Tutto nella mia testa si mischia, quindi inconsciamente anch'io faccio un'operazione di mash-up. Conosco persone che in quel periodo emulavano Kurt Cobain, sentendosi profeti dell'alternativo e che oggi sono padri di mezza età, fuori forma, che ogni tanto suonano con gli amici tipo calcetto e fanno sempre le cover degli eroi del grunge, sostenendo senza ombra di dubbio che la bella musica si è fermata lì, poi è arrivata la merda.

Conosco persone che si facevano di tutto, ballavano per dodici ore consecutive col cuore a mille, poi scopavano a caso e dormivano per due giorni di seguito. Con alcuni ci parlo e sono belli freschi, altri hanno lasciato un po' di testa nei fuori orari, altri ancora non ci sono più. Gli anni '90 non sono stati facili per un cazzo, amici miei: dopo il sogno tutto glitter, steroidi, seni enormi e bicipiti in vista degli '80 in cui tutto pareva possibile, i soldi giravano bene e anche gli operai si permettevano due vacanze l'anno, il castello di carta velina ha preso presto fuoco.

Tangentopoli, i politici corrotti alla sbarra, la conta dei debiti e dei crediti che non torna, Berlusconi per un anno al Governo, la Guerra dei Balcani che uccideva i nostri cugini dell'est a pochi chilometri da dove facevamo il bagno ascoltando le canzoni del Festivalbar, l'esodo degli albanesi dopo la caduta del comunismo, i primi timidi vagiti di populismo che portava al ritorno di tutti gli -ismi che nessuno avrebbe voluto veder tornare di moda.

A scuola, se sei sovrappeso sei ciccione di merda, se sei omosessuale sei finocchio, se esci con due ragazzi sei puttana. Fuori da scuola, quello che sei lo devi dimostrare continuamente, perché non esiste ancora la digitalizzazione dell'identità che ti permette di sentirti stocazzo quando prendi due like. È l'ultimo decennio in cui la strada fa da padrona, l'Italia è un'enorme provincia e il bullismo non passa dal telefono, ma dalle botte. La musica italiana alternativa è davvero tale, non ci sono tentativi di scalata alle classifiche, che sono il male. I C.S.I. non andrebbero mai a Sanremo perché per loro non ha in nessun modo a che fare con la musica, Sanremo non chiamerebbe mai i C.S.I. a suonare perché non è musica adatta alla sua platea. 

I Novanta sono gli anni degli estremi, che poi s'incontreranno nei Duemila. Achille Lauro li racconta mischiando il linguaggio dell'epoca e del momento, contaminandoli con la trap di questi tempi altrettanto estremi, in cui viviamo come se niente fosse dentro un videogioco con gli zombi, attenti a non toccare le persone per paura di morire male. Il 2020 e il 1990 hanno molti punti in comune, a partire dalla fine delle ideologie per arrivare all'incertezza assoluta del futuro. Il divo gender fluid, il Ken coi tatuaggi in faccia e il miracolato romano che si comporta come un signore di sicuro è un interprete molto adatto al tempo che viviamo. La musica è quella che è, ma parlare di musica in questo caso sarebbe persino ridondante

Due parole facciamole ugualmente: dopo il revival degli '80 che sembrava non finire mai, non è che fosse una gran sorpresa il ritorno dei '90. Già Salmo aveva teorizzato su IG che rap e dance anni Novanta sarebbe potuto diventare il sound distintivo dell'Italia nel mondo, e da lì è partita la wave: Shiva con gli Eiffel 65, Massimo Pericolo su Gigi Dag, il singolo di Fedez che usa il campione di Robert Miles, fino a Anna di Bandoi '90 sono pericolosamente tornati di moda.

La speranza è che durino sensibilmente meno dei synth del decennio precedente, inglobati in ogni band con velleità di classifica. Per quanto riguarda Lauro, il disco da juke box umano ci può anche stare, e nessuno si scandalizza, anche se la proposta non è delle più deflagranti. Il prossimo, per sua stessa dichiarazione, rivoluzionerà la musica italiana, e lì qualche aspettativa in più ce la concediamo. 

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L'articolo Achille Lauro, la rivoluzione non è un giro sul tagadà di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-07-24 10:30:00

COMMENTI (1)

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  • facchin.alberto60 4 anni fa Rispondi

    A me è piaciuto subito, A .Lauro è musicalmente un bulimico , IMHO naturalmente e se il cibo musicale di cui si nutre è ottimo, quello che rigurgita è fantastico. Bravo davvero.