Alan Gelati meets Duran Duran

"I Duran Duran non erano solo un suono: per me erano un’estetica, una costruzione di desiderio e distanza". E allora come ritrarli? Andando a cercare "quella vibrazione sottile tra mito e presenza": il ricordo di uno scatto molto iconico a una band molto iconica

I Duran Duran
I Duran Duran - © Alan Gelati
05/12/2025 - 10:11 Scritto da Giulia Callino

Dentro ai tuoi occhi è la rubrica di Rockit che propone uno scatto dei maggiori fotografi della musica italiana, raccontato dalla prospettiva dell'autore. Oggi ad aprire i propri archivi è Alan Gelati, che ha scelto di portarci dietro le quinte di una sua foto ai Duran Duran. In fondo lo scatto in versione integrale. 

Londra, 2021

Tutto cominciò quando Rolling Stone si mostrò interessato a un progetto che avevo proposto: una cover story sui Duran Duran.

Attraverso alcuni contatti londinesi ero riuscito a organizzare la produzione, che, in modo quasi surreale, coinvolse anche Giorgio Moroder in collegamento con Nick Rhodes e il team di Rolling Stone.

Non immaginavo però che quel progetto sarebbe finito per toccare una parte così remota di me.  Elaborare un mood board, definire la direzione fotografica e artistica: tutto procedeva come sempre, cercando di provocare il solito impeto  creativo e l’ispirazione artistica. A un certo punto... un blocco: mi resi conto che, davanti a me, non avrei avuto semplicemente una band, una celebrità, ma un frammento del mio stesso passato.

I Duran Duran non erano solo un suono: per me erano un’estetica, una costruzione di desiderio e distanza. L’immagine stessa dell’idolo: lucida, luminosa, inarrivabile. Incarnava quella coolness  New Romantic così tipica degli anni ’80: elegante, artificiale, intrisa di glamour e distacco. Un modo di stare nel mondo che io, sfigatello delle medie, potevo solo osservare da lontano, cercando di imitarne le regole, senza averne gli strumenti.

Un passo "in famiglia" Le Bon lo avevo già compiuto: prima di Simon, avevo già fotografato Yasmin Le Bon e la loro figlia Amber. Ricordo ancora quando sentii il nome di Yasmin per la prima volta: il matrimonio con Simon Le Bon, un evento che gettò in lutto un’intera generazione di ragazzine innamorate del loro idolo. Da allora, Yasmin era diventata ai miei occhi un’icona di un universo vip irraggiungibile, forse anche un po’ da odiare, perché per mesi aveva gettato in una sorta di depressione adolescenziale le mie cugine, devastate dalla notizia. E ora? Mi ritrovavo su un set moda con lei e la figlia, non più dall’altra parte dello schermo di quell’immaginario, ma come protagonista e regista. In controllo di tutto.

Io non accetto mai di fotografare artisti da sotto un palco o a un concerto. Non mi piace idea di essere subalterno all'immagine e alla direttive e limiti dei loro team e managements. Devo essere io a dettare regole, a trovare un'intesa con il mio soggetto. Che sia una rockstar, un grande attore di Hollywood o il dittatore di turno. Non voglio regole o barriere. 

Ricordi che riaffiorano... Io davanti alla TV, DJ Television, i volti di Simon, Nick, John e Roger nei video di "Hungry Like the Wolf" e "Ordinary World". Li guardavo da vicino, quasi a toccare il vetro, e le loro immagini si scomponevano in quella trama di punti di luce, quell’effetto raster tipico dei televisori a tubo catodico degli anni ’80. Erano presenze mitiche e al tempo stesso granulari, vive e inafferrabili, fatte della stessa materia dei sogni elettronici di quell’epoca.

E invece, anni dopo, eccoci lì, attorno a un tavolo a Londra, a parlare come se nulla fosse e a mangiare una disgustosa lasagna vegan riscaldata, arrivata da un catering organizzato dal mio agente in UK.

Eppure qualcosa restava: quella vibrazione sottile tra mito e presenza. Forse è questo che la fotografia tenta ogni volta di catturare: la distanza tra ciò che ricordiamo e ciò che abbiamo davanti.

Dietro la macchina fotografica, guardando Simon , Nick, John e Roger ho avuto la sensazione di fotografare non solo loro, ma la mia memoria. Quell’immagine adolescenziale che si piegava, arrendendosi alla mia visione ora di adulto.

In quel momento, ho capito che ogni ritratto è una forma di riconciliazione tra chi siamo stati e chi siamo diventati. Sul set, con i Duran Duran, la mia macchina fotografica non stava solo registrando un incontro, ma chiudendo un cerchio: quello tra il ragazzo che passivamente guardava e l’uomo che finalmente guarda davvero.

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L'articolo Alan Gelati meets Duran Duran di Giulia Callino è apparso su Rockit.it il 2025-12-05 10:11:00

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