Angelo Trabace, col pianoforte sul furgone

Un musicista di estrazione classica che da sempre accompagna gente come Dimartino, Bianconi e Vasco Brondi. Dopo una vita in tour, il pianista di origine lucana ha pubblicato il primo singolo solista ”Sbarco”. E ci spiega come pop e musica colta, festival e teatri possano convivere

Angelo Trabace, foto Giulia De Paola
Angelo Trabace, foto Giulia De Paola

"Ho iniziato a suonare quando avevo cinque anni insieme a mio padre, poi ho preso il diploma di pianoforte al conservatorio di Matera e sono fuggito a Bologna dove mi sono laureato in lettere moderne. Da lì ho cominciato a fare le mie prime serate iniziando a guadagnare qualcosina mescolando musica classica e canzoni d’autore e facendo anche nel frattempo qualche supplenza a scuola. Di quegli anni, che definirei tragicomici, ci ho scritto uno spettacolo Io non so più chi suono, che ho presentato all’Arci Bellezza di Milano nel 2016 e che metteva in scena “la crisi di un pianista di piano-bar” (che poi non era altro che il disagio di quando mi sono ritrovato nei posti sbagliati), in una specie di happening dove mi immedesimavo nei clienti di un ristorante immaginario".

Chi parla è Angelo Trabace, pianista e compositore, già collaboratore di Dimartino, Vasco Brondi, Francesco Bianconi, con una formazione classica conseguita al Conservatorio di Matera e le radici lucane, ma milanese d'adozione. È uscito il suo primo brano solista, Sbarco, una composizione per piano sospesa ed evocativa, che mi ha subito conquistato.

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Strano che un pianista con una formazione classica, si presti al mondo dei concerti nei club, ma l'anima di Angelo è duale: "Da una parte mi hanno sempre salvato e accompagnato gli studi accademici e dall’altra ho sempre avuto quell’urgenza più punk e ribelle di provare a trasfigurare certe cose a modo mio in un linguaggio più libero e meno impostato, più teatrale e popolare, che potesse arrivare alla gente, pur rimanendo in quella struttura rigida che forse per brevità e “cantabilità” si avvicina a una forma più legata al mondo della canzone, che poi ho iniziato infatti a frequentare in maniera continuativa".

Incursioni nella canzone d'autore e poi il ritorno alla musica strumentale: "Alla composizione dei miei pezzi strumentali con una struttura ben precisa però ci sono arrivato da qualche anno, alcuni temi musicali mi ronzavano in testa da tempo ma erano sempre rimaste solo bozze che ho deciso di sviluppare e di chiudere definitivamente quando ho deciso di registrarle in un vero e proprio studio qui a Milano, e farle uscire dalla mia stanza. Ho prodotto questi pezzi al Blackstar Recording studio di Angelo Di Mino, che è un violoncellista e un grandissimo collezionista di sintetizzatori analogici. Lui mi ha aiutato a capire in che direzione andare, poi ho iniziato a far sentire queste composizioni ad amici e addetti ai lavori che mi hanno incoraggiato e spinto a liberarmene".

Preferisco essere sincero: mi perdo volentieri nella musica strumentale di matrice classica, ma non sono abbastanza acculturato da saperla definire. L'unica cosa che so è che sono allergico ad Allevi, quindi chiedo lumi proprio ad Angelo, che con pazienza mi spiega: "Un brano come Sbarco rimanda sicuramente a una matrice cosiddetta neo-classica, anche se il disco che uscirà a breve va in una direzione più sperimentale con brani che hanno una natura molto diversa tra loro, a volte più perturbanti e violenti, sicuramente meno consolatori. Ho sentito però l’urgenza di pubblicare prima dei pezzi intimi e minimali per fare una sorta di dichiarazione d’amore in questo tempo freddo e arido, una specie di quiete prima della tempesta, con una melodia forse più vicina al mondo jazz che alla classica vera e propria, anche se, ascoltando molta musica del Novecento, compositori definiti classici come Debussy, Satie o Ravel si erano già aperti armonicamente a incursioni verso altri mondi sonori più moderni. Quello che faccio inevitabilmente si lega al passato (anche se poi molta arte del passato sembra provenire dal futuro), ma cerca di guardare altrove.

Foto di Giulia De Paola
Foto di Giulia De Paola

Capito. Mi piace tanto imparare. Per esempio, vorrei sapere come funziona il mercato per la musica strumentale in Italia, se ci si può campare o se i compositori devono essere per forza legati a colonne sonore o pubblicità: "Sinceramente essendomi affacciato da pochissimo con un progetto solista non ti saprei ancora dire che tipo di mercato potrà ruotare attorno alla mia musica, sicuramente però un certo tipo di proposta ha bisogno come dici tu di un buon supporto editoriale per essere piazzata all’interno di serie tv o nel mondo del cinema in generale, però penso anche che in Italia si stia formando un pubblico sempre più curioso che ascolta anche musica strumentale e che rimane ancora affascinato dalla sua esecuzione soprattutto dal vivo. Un festival come Pianocity di Milano, credo sia un esempio di come si possa avvicinare un certo tipo di musica al pubblico, che magari non è abituato a quel repertorio ma che viene coinvolto e incuriosito attraverso eventi gratuiti con un programma aperto a tutti".

Di sicuro un modo interessante di approcciarsi a questo tipo di musica: "Forse ci sarebbe bisogno di tantissimi festival di questo tipo nelle province d’Italia, con eventi sparsi nelle periferie o per le campagne, dei “piano-village” che coinvolgano grandi e piccoli. Alcune realtà come centri sociali e associazioni socio culturali provano a fare un certo tipo di proposte “alternative” ai cartelloni ufficiali dei grandi teatri (dove per musica classica “contemporanea” si intende spesso la musica dodecafonica del Novecento) ma so che non è semplice (e non lo era nemmeno prima che scoppiasse il covid).

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A proposito di covid, mi piacerebbe sapere dove si continua a trovare l'ispirazione quando le giornate sono tutte uguali e non capita niente di nuovo: "Continuo a ripetermi spesso nella testa come un mantra questa frase tratta dal Diario di Anna Frank: 'Non penso a tutta la miseria, ma alla bellezza che rimane ancora'. Quest’anno in generale mi hanno fatto compagnia proprio la rilettura di alcuni classici della letteratura, poi tanti vecchi film: ho rivisto per esempio la trilogia della strada di Wim Wenders dopo anni (e riguardare un road movie come Alice nelle città durante il primo lockdown è stata una esperienza stranissima) e poi tantissima poesia che avevo acquistato in periodi meno bui e che mi ha aiutato parecchio. Stessa cosa anche per i pezzi pianistici, sono tornato a studiare cose che avevo suonato da ragazzo quando forse non ero abbastanza consapevole del loro valore fuori dal tempo. Uno su tutti Bach, che continua a ispirarmi tantissimo. A volte, quando mi esercito con i preludi e fuga de Il clavicembalo ben temperato e riesco a non fare troppi errori, mi sembra di essere in una specie di Tetris in mezzo a quelle strane forme geometriche che allineandosi magicamente scompaiono. Forse quando suono certe cose è un po’ come se in un certo senso mi annullassi anch’io".

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Essere musicista oggi in Italia non è facile, e non lo era neanche prima. Allora perché continuare a suonare? So benissimo che la domanda è retorica, ma la faccio sempre perché mi piacciono le risposte degli artisti: "Essere un musicista è una scelta di vita prima ancora di diventare un lavoro vero e proprio. In Italia poi credo ci voglia molta pazienza perché per molta gente, comprese le istituzioni che non conoscono affatto l’industria dello spettacolo né il mondo dei concerti e di tantissime realtà culturali indipendenti, questo mestiere viene considerato come una specie di gioco, un passatempo per fortunati talentuosi o un hobby utile solo per l’intrattenimento. Fare il pianista oggi mi fa pensare a una canzone di Franco Battiato Vivo come un cammello in una grondaia

Parliamo di illustri colleghi: ho conosciuto Angelo mentre suonava con Dimartino, ben prima del boom sanremese: "Penso che il successo di Antonio e Lorenzo sia il frutto di una lunga ricerca musicale e letteraria comune che non ha mai avuto come priorità il volere apparire a tutti i costi e andare a Sanremo poi con un pezzo come Musica leggerissima in questo periodo storico credo sia stata un’idea geniale. Poi come diceva Nino Rota 'il termine musica leggera si riferisce solo alla leggerezza di chi l'ascolta, non di chi l'ha scritta'. Della gavetta con Antonio conservo parecchi giga di memoria, ogni tanto ci mandiamo a sorpresa qualche foto o video che ritroviamo per sbaglio in qualche cartella e ci ricordiamo aneddoti di serate, concerti e risvegli in posti assurdi".

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Ecco, parlando di assurdità, potreste pensare che un pianista con una mano come quella di Angelo sia una persona serissima, ma io so che è anche un po' merito suo per il balletto di Musica leggerissima, ormai diventato virale: "Quel balletto per esempio è una di quelle cose che nascono come ti dicevo tra una data e l’altra di un tour. La leggenda narra che una notte d’inverno, durante un dj set (credo fossimo all’Hiroshima di Torino), io e Antonio stavamo per uscire dal locale per rientrare in albergo, ma quando ho chiamato Giusto Correnti, il nostro batterista, per chiedergli se avesse intenzione di tornare anche lui insieme a noi, lui ha cominciato a camminare all’indietro ballando quella coreografia fino a scomparire tra la folla. Da quel momento in poi ho iniziato a farne una parodia perché per me era diventato un momento epico, una sorta di invito alla perdizione".

E noi, su questo racconto che già sa di mito, non possiamo che volare. Cosa riserva il futuro ad Angelo, è lui stesso a dircelo: "Tra i progetti imminenti c’è l’uscita di questo mio primo disco e tanta voglia di riprendere a suonare presto dal vivo in estate. Uno dei miei sogni futuri poi sarebbe quello di poter fare un tour all’estero". Incrociamo le dita e ci diamo appuntamento al prossimo concerto.

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L'articolo Angelo Trabace, col pianoforte sul furgone di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-04-22 14:21:00

Tag: singolo

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