A giugno al MI AMI diluviava, a luglio al Forest Summer Fest avevamo il giubbotto, a novembre al Circolo Bellezza si sudava come in una sauna. Niente va come dovrebbe andare, ai concerti di Appino. Niente, tranne Appino. Il suo album “Il testamento” è probabilmente la cosa più bella uscita quest’anno nel giro rock-cantautore e questo live acustico è la prova perfetta per capire quanto siano potenti le canzoni in quanto tali, spogliate dagli arrangiamenti imponenti di Giulio Ragno Favero.
Tutti i pezzi del "Testamento" sono nati chitarra e voce e chitarra e voce vengono proposti dal palco del Circolo Bellezza, sempre bello e un po' romantico, con un'atmosfera adattissima per un concerto di questo tipo. Appino ed Enzo Moretto degli A Toys Orchestra sono seduti, una chitarra a testa sulle gambe. Appino dà dentro anche di piede per suonare una grancassa. Se al termine acustico affiancate suoni tutti pizzicati e in punta di piedi, siete completamente fuori strada. Il concerto senza band di Appino è comunque pesante, irruente. Non c’è la batteria, non c’è il basso, non ci sono suoni elettronici, ma dal palco il suono arriva comunque potente.
E arrivano potenti anche le parole, che ti sfondano il cuore. Ci sono canzoni come “Passaporto” che sono talmente belle che non sai se piangere di commozione o sorridere ad Appino sperando che ti veda e percepisca il tuo “grazie per questa grande canzone”. E allora per non sbagliare ti metti a cantare con lui; tutto il Bellezza canta con lui, che si merita tutto il calore che la gente gli dà.
E poi arriva “Il testamento”, nel senso del pezzo che apre l’album. E ti accorgi che tutti quelli che hai intorno sono presissimi. Non è solo una sensazione, perché dopo confermeranno la pelle d’oca alta un centimetro. È una canzone di quelle grandi, che raccontano cose che un po’ ti spaventano, ma a cui non puoi rinunciare: "La scelta in fondo è l'unica cosa / che rende questa vita almeno dignitosa" è un verso enorme. Sì, enorme.
Ascoltare “Che il lupo cattivo vegli su di te” è sempre una gran botta, anche se forse è l'unico pezzo dell'album che rende di più nella versione originale e con la band; in ogni caso resti sempre un po' ipnotizzato da questa ninna nanna un po' dark.
In questa versione, alcuni brani suonano più profondi, come “Tre ponti” o “Giorni della merla”. Minuto dopo minuto sono sempre più intense; canzoni che ti segnano, e infatti tutti continuano a cantare; evidentemente c'è bisogno di canzoni vere, che raccontano storie vere, dolci e romantiche o nude e crude, ma pur sempre vere.
Appino è bravissimo; intrattiene, chiacchiera, parla degli Zen che porta sempre nel cuore, anche adesso che è lì sul quel palco in versione “solista”; tiene alta la soglia di attenzione, ci fa stare in silenzio. Tutto il circolo è pieno, dentro e fuori; c'è anche Paola Turci a godersi il bel concerto vicino a noi.
Il Circolo Bellezza raggiunge il livello della sauna. Sì, Appino ha avuto un gran coraggio a fare il disco in quel modo, con quei suoni, così lontani da quello che tutti si aspettavano. Ma i suoi pezzi, ridotti all’osso, a chitarra e poco più, diventano cento volte più potenti. E alcuni si trasformano in veri e propri inni. Probabilmente lui si incazzerebbe a sentirli chiamare così, ma quel centimetro di pelle d’oca collettivo è qualcosa di forte, che ti rimane addosso. Dopo aver suonato tutti i pezzi del disco, Appino e Moretto lasciano il palco senza il rito del bis. Si recuperano maglioni e cappotti, si esce dalla sauna che è diventata il Bellezza. Fuori è novembre e sta piovendo. Le cose stanno iniziando ad andare nel verso giusto.
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L'articolo Il Testamento di Appino al Circolo Bellezza di Milano di Carlotta Fiandaca e Marco Villa è apparso su Rockit.it il 2013-11-05 00:00:00
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