Arte Migrante: musica in cerchio

Da dieci anni l'associazione nata a Bologna mette assieme grazie alle canzoni persone provenienti da tutto il mondo. Come Marilì o Chris Obehi, arrivato in gommone dalla Libia e "salvato" da Rosa Balistreri. Una bella storia di note e integrazione

Da Trento a Palermo, quando arriva il caldo, decine, centinaia di persone provenienti da ogni parte del mondo scendono in piazza con chitarre, conga e altri strumenti musicali. Si siedono in cerchio, mangiano in comune e chiacchierano. Poi qualcuno tira fuori una lavagna e la gente inizia a scriverci sopra il proprio nome. In quell’ordine, chi vuole, può esibirsi cantando, suonando, recitando una poesia o in qualsiasi modo voglia. Sono le serate di Arte Migrante, un’associazione nata dieci anni fa per “favorire le relazioni tra persone diverse, stranieri e italiani, tra senza dimora e chi ha una condizione economica più agiata”, dice il fondatore Tommaso Carturan.

Contano i rapporti, al di là di ogni differenza. Tommaso ha cercato il mezzo migliore per unire le persone, il più funzionale per far crollare le barriere, e la risposta l’ha trovata nell’arte e nella musica. “Arte Migrante è nata dopo che ho preso parte alla Carovana della Pace, dove abbiamo cantato una mia canzone insieme a dei carcerati. Lì ho scoperto la forza della musica nell’unire persone diverse”, racconta.

Così ha deciso di creare un momento settimanale o bimensile in cui poteva ricrearsi quel clima. Si chiamano ‘cerchi’ e sono serate libere, in cui non c’è una differenza tra organizzatori e partecipanti. C’è solo chi porta la lavagna e chi fa il post in cui si comunica ora e luogo dell’incontro, ma nessuna gerarchia.

Alle serate non si condividono solo esibizioni, ma soprattutto la propria storia. Lì nessuna è banale, anche le vite più comuni sembrano fuori dalla norma immerse in un gruppo così variegato. Nel 2016, ai cerchi di Palermo, arriva un ragazzo nigeriano che si presentava cantando le canzoni in dialetto di Rosa Balistreri. Si chiama Chris Obehi, è arrivato in Italia su un gommone dalla Libia e la prima cosa che mi dice quando ci sentiamo è questo: “La musica mi ha salvato la vita”. Detta da lui arriva come un pugno nello stomaco.

Chris Obehi  – foto stampa
Chris Obehi – foto stampa

“Ho cominciato a frequentare locali e a suonare il basso, poi ho trovato Arte Migrante su Facebook e da allora provo ad andarci ogni volta che riesco”, dice Chris. “Quando sono arrivato lì ho visto che loro ti danno uno spazio, devi scrivere il tuo nome e quando ti chiamano puoi cantare, fare un gioco per coinvolgere le persone, raccontare la tua storia”.

Con lui le serate hanno funzionato alla perfezione, si è sentito a suo agio ed è riuscito a esprimersi. “Ho deciso di cantare la canzone che avevo scritto, perché sono rimasto colpito che tutti andassero a raccontare qualcosa. Non solo palermitani, ci sono turisti dalla Spagna, Germania, Francia, persone dalla Gambia, Senegal. È un misto proprio, uno scambio di diverse culture che portano lì tutte le loro storie e i loro vissuti”.

Nello stesso anno, risalendo l’A2 fino a Bologna – dove è nata l’associazione – troviamo un cerchio che contava fino a un centinaio di persone. Se poi continuiamo sull’A1 verso Nord-Ovest arriviamo a Torino. Qui una ragazza che ha conosciuto la musica da piccola, grazie al padre che le insegnava i primi accordi, viene portata da un amico a una serata di Arte Migrante. Si chiama Marilì, è stata una musicista di strada, ma ora ha formato un trio con cui porta in giro le sue canzoni.

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“Arte Migrante è stato un banco di prova per suonare in pubblico le mie canzoni. In strada facevo cover e alle serate portavo i miei pezzi”. Parliamo mentre il treno Torino-Milano su cui si trova fa saltare la linea telefonica. Sta andando a Milano per le lezioni del dottorato in antropologia, una passione centrale nella sua musica. Parliamo del suo gruppo – il Trio Marilì – e racconta come la contaminazione sia il cuore della band. “Facciamo pezzi miei ma arrangiati in stile world music e caraibica. Arte Migrante mi ha permesso di sentire che esistono diverse culture e capire quanto è bello lasciarsi contaminare. Mi ha aperto un mondo”.

Anche Chris la pensa allo stesso modo, e fonde le ritmiche africane con il dialetto siciliano. Conosce Francesco Riotta – che ora è il suo produttore per 800A Records – a Palermo. Quando stava cercando un bassista per Famiglia del Sud – la sua band – sente suonare Chris e gli propone di lavorare insieme. Lui accetta e i due iniziano a trovarsi a casa di Francesco per provare. “Lì mi ha fatto sentire Rosa Balistreri. Mi è piaciuta subito, ma della lingua non stavo capendo niente, un cazzo”, mi confida ridendo. Mentre parla della cantante siciliana, Chris inizia a fischiettare la melodia di Cu ti lu dissi e va avanti talmente tanto da lasciare a metà il discorso. Si è perso nella canzone. “Ormai in ogni posto in cui vado mi chiamano Rosa Balistreri, perché per i siciliani vedere un africano che canta le sue canzoni è uno shock”.

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Chris racconta di aver fatto molta fatica con la lingua, ed è riuscito a imparare il dialetto grazie al ritmo delle canzoni. “La lingua viene naturale, parliamo piano piano” gli dice Francesco quando Chris è ancora nuovo a Palermo. A fine giornata, stravaccato sul divano della Comunità Mandela dove vive, ascolta da YouTube le canzoni di Rosa Balistreri a ripetizione. “Piano piano”, un po’ alla volta, la ritmica dei testi gli entra in testa e inizia a ricordare prima la melodia e poi il testo. Su quel divano la musica gli ha salvato la vita. È stato un modo per voltare pagina e non pensare al viaggio dalla Libia a Lampedusa.

Nel 2015 ero in Libia e lavoravo in un autolavaggio, poi mi hanno arrestato. Lì la sicurezza può fare quello che vuole”, racconta Chris. “Sono riuscito a scappare e ho deciso di partire, non volevo stare più lì. Sono andato verso la costa e di notte ho preso un gommone insieme ad altre 105 persone”. Durante il viaggio l’acqua entra a bordo, la gente si spaventa e cerca di asciugarla coi vestiti. Nel caos Chris vede un bambino che sta male, “l’ho toccato ed era freddissimo”, dice. Allora si toglie la giacca e gliela mette addosso. “Poi ho visto arrivare una nave e ho sentito: ‘Prima i bambini, poi le donne e gli uomini’. Io avevo il bambino e mi hanno detto di salire a bordo. Questa è stata la mia fortuna. Hanno fatto in tempo a salvare una ventina di persone e dopo il gommone è affondato”. Arrivati a Lampedusa Chris vede il bambino con la madre. “Ho salvato il bimbo ma è anche lui ad aver salvato me”.

Dopo i trasferimenti da Lampedusa a Messina e poi a Palermo, Chris arriva nella Comunità Mandela nel 2016. “Ci sono tante persone che hanno vissuto le stese cose e oggi ancora non riescono a uscire da quel buio. La musica mi ha portato la luce e ho iniziato a seguire la mia strada”. La prima canzone che porta alle serate di Arte Migrante si chiama Non siamo pesci, in cui racconta il suo viaggio. L’elemento centrale del brano è un pianoforte dal timbro pieno. Chris è un cantautore pop, molto influenzato dai ritmi africani. In questa canzone però ha lasciato da parte la sua vena ritmica e ha svuotato il brano per concentrare tutta l’attenzione sul testo. “Non siamo pesci, siamo umani”. Pianoforte e voce costruiscono un brano essenziale e toccante. Si aggiunge solo una batteria e qualche nota di chitarra distorta per aumentare la tensione e le dinamiche della voce.

Una tipica serata di Arte Migrante
Una tipica serata di Arte Migrante

Chris e Marilì sono ancora affezionati all’associazione, anche se ora suonano spesso altrove. La parola che torna più spesso quando se ne parla è ‘famiglia’, e secondo loro la famiglia non si lascia. Chris vorrebbe riuscire a collaborare di più, andare alle varie serate sparse per l’Italia e l’Europa e suonare insieme a nuove persone, nuovi fratelli e sorelle.

Marilì è più ambiziosa: “Mi piacerebbe fare un festival di Arte Migrante aperto alla cittadinanza. A Torino è rimasta una cosa tra chi conosceva già la realtà, ma sarebbe bello farla conoscere anche alla città e allargarsi”. 

Da Trento a Palermo ogni settimana o due si incontrano musicisti, aspiranti attori o poeti oppure semplicemente curiosi. Più spesso sono persone che vivono ai margini della società, “lasciate in disparte, marginalizzate o sbattute nei centri accoglienza”, conclude Tommaso Carturan. Ha aperto l’associazione per loro. Non ci sono appuntamenti stringenti o obblighi. I cerchi di Arte Migrante sono serate con la famiglia che ancora non sappiamo ancora di avere.

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L'articolo Arte Migrante: musica in cerchio di Martino Fiumi è apparso su Rockit.it il 2023-02-17 13:56:00

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