Perché è importante ascoltare la musica che non ci piace

La musica può aiutarci a guardare al di là del nostro naso, conoscere altre culture e in definitiva "l'altro": ascoltare musica è un nuovo passo verso la conoscenza

- foto via azbalalaika.org
15/09/2016 - 10:30 Scritto da Letizia Bognanni

“Tutte le canzoni sono politiche, anche quelle che sembrano parlare d'amore. Per esempio, “Sei bella davvero” è un pezzo politico. E lo è qualunque canzone dove devi dire quello che pensi, prendere una posizione, senza aver paura di affrontare fragilità ed errori”.

Sono parole di Francesco Motta riferite al suo ultimo album "La fine dei vent'anni", ma con un po' di elasticità si adattano a moltissimi altri argomenti. Intanto partiamo da qui: la musica è un'arte, e in quanto tale è un oggetto su cui si discute da che esiste l'umana speculazione. Senza bisogno di addentrarsi nella storia della filosofia della musica, basta dire che praticamente tutti, dal mondo classico al '900, da Pitagora ad Adorno, concordano sul fatto che fare musica non sia un'azione moralmente neutra: produrre musica ha sempre una valenza politica di per sé (politica, non edificante o pedagogica) in quanto implica sempre una scelta e un'azione.

Se però ci spostiamo dal punto di vista di chi la musica la fruisce, il discorso si fa meno scontato. Ascoltare sembra un gesto passivo, ma forse non è proprio così. Se una volta bisognava fare grandi traversate per avere tra le mani il disco agognato, oggi le possibilità di ascolto sono pressoché infinite, e mentre in passato non si aveva granché modo di sfuggire a quello che le case discografiche, le radio o la tv decidevano di farci sentire, oggi si può scegliere con molta più autonomia se ascoltare il tormentone o fuggirlo.

Per questo parlare di ascolto passivo nel 2016 può sembrare quasi un paradosso: districarsi nell'infinità di scelte a nostra disposizione richiede consapevolezza del proprio “essere-nel-mondo”, e di conseguenza ogni scelta di ascolto è politica oltre che estetica. Non è scontato quindi chiedersi se ascoltare musica, nel 2016, possa essere considerato il giusto mezzo per guardare un po' più in là del proprio naso.

Partiamo da esempi banali: ascoltare musica che non ci appartiene può essere un modo per entrare in comunicazione profonda con l'altro. Sia l'altro un nostro conoscente, una minoranza sociale, un'altra cultura, o qualcuno appartenente a una diversa classe sociale, fascia economica, generazionale. Ascoltare i neomelodici invece di deriderli può aiutare a capire meglio la cultura dominante in alcune parti d'Italia, ascoltare Benji & Fede ci avvicina alla visione del mondo di un'adolescente italiana, così come ascoltare musica filippina ci dà un'idea più precisa della cornice estetica di questa comunità che vive oramai da ventenni nel nostro paese passando quasi totalmente inosservata.

La musica ci identifica come parte di una determinata cultura - cosa che nonostante la globalizzazione, internet, la possibilità di viaggiare con pochissimi soldi, non è cambiata quanto avrebbe potuto. Il mondo è ancora diviso in “noi” e “loro”, e per troppi versi i “noi” e “loro” sono lontani dal disegnare scenari di pacifica convivenza. Tuttavia, se vale anche a un livello macroscopico quello che funziona per i rapporti interpersonali, il mezzo più efficace di risoluzione dei conflitti è la conoscenza dell'altro. Una conoscenza non superficiale di tutti i suoi aspetti, fra i quali, appunto, la musica. 

Ok, può sembrare un discorso da hippie, e questo non vuol certo dire che ascoltare musica sarebbe sufficiente a portare la pace nel mondo, però basta pensare a come, nelle dittature e nei totalitarismi - i vecchi regimi comunisti, per dirne una, oppure certi stati confessionali – fra le prime cose ad essere vietate c'è sempre la musica del “nemico”, per capire che tanto innocua evidentemente non è. 

Nel suo libro “La musica è un tutto”, Daniel Barenboim scrive: “Per definizione l'intellettuale ha la missione di essere un elemento critico, se non addirittura di disturbo nei confronti della società e delle sue istituzioni, da cui prende le distanze, pur restandone parte integrante, rivolgendosi in tal modo al più vasto pubblico possibile. Questa nuova generazione di intellettuali impegnati aiuterebbe il singolo cittadino a superare gli angusti confini di ciò che è ritenuto “accettabile” e forse potrebbe indurlo ad ammettere una verità fondamentale: quanto più si conosce e si accetta il proprio nemico, tanto più si viene capiti e accettati da lui”. 

Quando andiamo a un concerto, o anche quando ce ne stiamo da soli con le nostre cuffiette, se teniamo la mente aperta stiamo facendo qualcosa di più: un passo verso la conoscenza. Di un'altra persona, di un gruppo, di una cultura diversa, di qualcosa o qualcuno che potrebbe rivelarsi più vicino di quanto pensiamo, oppure rimanere distante ma forse, chissà, non sembrare così minaccioso.

 

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L'articolo Perché è importante ascoltare la musica che non ci piace di Letizia Bognanni è apparso su Rockit.it il 2016-09-15 10:30:00

Tag: opinione

COMMENTI (1)

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  • boolomai 8 anni fa Rispondi

    Sono d'accordo, ma la pigrizia di solito vince anche in questo ambito..