Da Blonde: "Il rap mi limitava, avevo bisogno di trovare la mia identità"

Viene dal centro storico di Napoli e ha un passato come vocalist nei club techno e poi come voce femminile al fianco di Luché ed Enzo Dong. Ora, dopo la colonna sonora di "Gomorra", un ep suonato, intimo e ben riuscito come "Parlo ai cani"

Da Blonde, foto stampa
Da Blonde, foto stampa

Da Blonde si chiama Daniela Napoletano. Partita dal centro storico di Napoli come vocalist nelle serate techno del circuito locale, negli anni si è avvicinata alla scena urban partenopea e ha iniziato a macinare collaborazioni. Enzo Dong, Luché, Franco Ricciardi, fino ad arrivare a prendere parte alla colonna sonora di Gomorra con Sensibile, forse l’unico brano della serie cantato in italiano da una voce femminile.

Adesso Da Blonde ha cambiato strada e suono, come dimostrano le canzoni di Parlo ai cani, il nuovo EP uscito qualche giorno fa per Octopus Records. Dopo anni a flirtare con il rap e con i nomi di una scena decisamente florida, la sua è una nuova identità musicale fra dream pop e chitarre lo-fi, curate dalla produzione artistica di Giuseppe Fontanella dei 24 Grana, che contribuisce a dare vita alle otto tracce che scavano a fondo nelle emozioni e nella solitudine.

In una realtà affollata di barre in napoletano stretto e coolness, la nuova Da Blonde si distingue senza alzare la voce, per un suo particolare senso del racconto intimo ed emozionale.

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Con il tuo percorso musicale, come sei arrivata a scrivere pezzi tuoi di questo tipo?

Ho iniziato nei club con un duo di DJ techno, contemporaneamente ci sono state le prime  esperienze con un trio di musica elettronica, è stato per quel progetto che ho scritto i miei primi testi in inglese. Successivamente sono entrata in contatto con un team di produzione con cui abbiamo iniziato a lavorare al mio progetto da solista in italiano e in quel periodo ho conosciuto vari artisti, soprattutto rapper con cui sono nate delle collaborazioni.

Con Parlo ai cani sei passata dalle canzoni prodotte su beat a una forma di dream pop suonato e vicino al rock cantautorale. Cosa c’è dietro questa evoluzione, a livello musicale ed emotivo?

È stata un’esigenza che sentivo crescere col passare del tempo. Lavorare sui beat era come un esercizio di adattamento, quelle sonorità mi influenzavano, mi limitavano. Crescendo tendevo a una scrittura più intensa ed emozionale e questo cambiamento doveva riflettersi anche nelle produzioni.

In questo momento il rap è egemone, allontanarti da quelle sonorità è una scelta coraggiosa. Da che esigenza nasce?

Si tratta di sonorità che non ho mai sentito mie, a cui mi ero avvicinata quasi sempre per collaborare con altri. La scelta è avvenuta naturalmente, avevo bisogno di trovare e trasmettere la mia identità musicale.

Qual è il bilancio che ti porti dietro dalla tua esperienza con rapper come Luché ed Enzo Dong? C’è qualcosa che non rifaresti?

Si è trattato di belle esperienze, ma ci sono cose che non rifarei, e non mi riferisco alle collaborazioni. Se tornassi indietro darei ascolto solo a me stessa.  

Come nasce la collaborazione con Giuseppe Fontanella, chitarrista dei 24 Grana? 

Quando ho iniziato a lavorare a questo EP ero sola con il pianoforte ed è così che sono nati  tutti i brani, avevo già un’idea di quello che volevo per le produzioni, un sound malinconico, sognante, adatto ad accompagnare i miei pensieri. Sono una grande fan dei 24 Grana, le chitarre di Giuseppe mi sono rimaste nel cuore, così quando tramite un amico comune ho avuto la possibilità di incontrarlo, ho raccolto vari provini, ascoltandoli insieme abbiamo sentito una forte sintonia artistica, quando ha iniziato a suonare le note di Ricordo ho capito che era la strada giusta. 

Nel disco ci sono molte chitarre, e un suono che si avvicina a un certo tipo di rock lo-fi anni ‘90. Quanto ti hanno supportato la visione e il tocco di Giuseppe Fontanella nella ricerca delle sonorità per l’EP?

Molto, quelle chitarre, quel rock anni ’90 sono esattamente il suono che mi ha spinto a collaborare con lui, abbiamo gusti comuni ma inevitabilmente ognuno ha la propria visione, e ho apprezzato molto l’attenzione che ha avuto per i testi, per quello che volevo comunicare di volta in volta, mi ha accompagnata in questo percorso con grande delicatezza, mostrando apertura e rispetto verso le mie idee.

Qual è il processo creativo che sta dietro la scrittura di un tuo pezzo?

Quello che vorrei quando scrivo un brano è emozionare, toccare chi mi ascolta nel profondo, credo di dare il meglio quando scrivo quello che sento quindi cerco di non impormi niente, sia per quanto riguarda i testi che la struttura dei brani. Sono una persona molto riflessiva e introversa, alcuni pensieri sono più forti di altri, comincio a vederli nella mia mente, a visualizzare le parole e allora mi metto alla tastiera e butto giù qualche accordo finché sento qualcosa che libera quelle parole e le rimette in ordine.

Com’è stato lavorare con una band?

È stata un’esperienza molto stimolante, vedere ognuno di loro mettere un po’ del proprio mondo nelle mie canzoni, spero in futuro di poter lavorare con la band anche in fase di produzione. 

Abbai è una sorta di title-track, riprende il concetto del titolo Parlo ai cani per raccontare di solitudine, ma anche di comunione con la natura. È qualcosa da recuperare nella quotidianità degli esseri umani?

Assolutamente, la solitudine ci insegna a conoscere noi stessi, ci costringe a farci delle domande. Viviamo in un mondo spesso innaturale, troppo veloce, dove nessuno sembra interessato all’essenza delle cose ma solo alla superficie, in una totale mancanza di empatia e allo stesso tempo un disperato bisogno di attenzione, un mondo che sento sempre più estraneo. Per me rifugiarmi nella natura è un bisogno, ma credo faccia bene a tutti.

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Parli piano invece la dedichi a “tutte le persone che in questi anni ti hanno supportato solo per interesse personale”. C’è qualche riferimento particolare?

Più che interesse personale direi forse un apprezzamento evidentemente non così reale,o poco spontaneo. Credo che questo EP sia più maturo artisticamente di quello che facevo prima eppure tutti gli artisti conosciuti in questi anni hanno smesso di supportarmi, questo credo descriva le dinamiche che nascono in questi ambienti. Chiaramente va bene così, preferisco di gran lunga riconoscermi nella mia musica anche senza il supporto di nessuno, è solo che la cosa mi ha fatto riflettere.

Beatrice è dedicata ad un’anziana signora del tuo quartiere, il centro storico di Napoli. Com’è stato crescere in quella zona e cosa pensi di quello che le sta succedendo negli ultimi anni, con il boom turistico?

È stato bellissimo crescere qui, Napoli ha una sua magia fatta di poesia e contraddizioni, una città con tutte le sue problematiche ma dove si respira cultura, storia, arte, mi ha resa  sempre più sensibile e attenta. Negli ultimi anni l’ho vista rifiorire, ho visto anche i vicoli più desolati riempirsi di turisti, il che non può che farmi piacere perché da adolescente le stesse zone non erano il massimo della sicurezza, magari si va incontro ad altro genere di problemi ma lo ritengo comunque un miglioramento.

Come vivi il tuo essere napoletana attraverso la musica, se lo fai?

È impossibile crescere a Napoli senza portarsela dentro, è in ogni rigo, in ogni cosa che noto e che scrivo, anche se non cito il Vesuvio, o i posti più di moda, Napoli è lo scenario  di tutti i miei brani, è qui che si muovono le persone di cui parlo, è guardando il panorama che vedo dalla finestra che ho scritto tutto il mio EP. Sento un forte senso di appartenenza  verso la mia città, solo lo esprimo a modo mio, la napoletanità ha diverse facce.

Hai mai provato a scrivere in napoletano?

No, in effetti non ci ho mai provato, anche se ascolto e amo molti artisti che lo fanno, semplicemente finora non ho mai sentito il bisogno di esprimermi in napoletano, se dovessi sentire quest’esigenza lo farei senza problemi.

Con Sensibile sei entrata a far parte della colonna sonora di Gomorra, che è un po’ il manifesto di un certo tipo di estetica napoletana contemporanea. Secondo te cosa ha portato la tua musica su quegli schermi?

Spero nel mio piccolo di aver portato qualcosa di diverso, di aver dimostrato che a Napoli ci sono anche altre realtà musicali. Fatta eccezione per quelli dei Mokadelic, gran parte dei brani sono rap o neomelodici, e credo siano tutti in dialetto. Mi ha fatto piacere che ci sia stato spazio anche per una donna.

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C'è un artista che ti ha ispirato in modo particolare?

Per quanto riguarda la scelta dei suoni mi ha ispirato molto la musica cinematografica, brani di artisti diversi, da Agnes Obel ad Apparat, scoperti per lo più guardando film e serie, che avevano in comune queste sonorità suggestive, dolci e melodie cariche di intensità.

È un momento in cui è molto difficile fare programmi, ma te lo chiedo comunque, come buon augurio: cosa farai prossimamente?

Spero di poter cantare presto questi brani dal vivo, e sto lavorando a nuove canzoni che mi piacerebbe proporre in una chiave più elettronica.

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L'articolo Da Blonde: "Il rap mi limitava, avevo bisogno di trovare la mia identità" di Sergio Sciambra è apparso su Rockit.it il 2020-05-27 08:35:00

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