Basta avvicinarsi al palco, e il resto va da sé: il concerto dei Bloody Beetroots all'Alcatraz di Milano

Sir Bob Cornelius Rifo sbarca a Milano con il suo show, tra giochi di luce e sacche sonore

Sir Bob Cornelius Rifo sbarca a Milano con il suo show, tra giochi di luce e sacche sonore
Sir Bob Cornelius Rifo sbarca a Milano con il suo show, tra giochi di luce e sacche sonore - Immagine tratta da Fanart.tv

Dipende dal punto della sala in cui ti trovi. Mi sono fatto tre quattro pezzi nella mischia ed è decisamente violento. “Volevo un gatto nero” è una cosa che travalica le definizioni. Tutti i possibili discorsi su come la dubstep possa essere diventata ignorante e grezza  - Joker, Chase & Status e compagnia bella – cadono. Bloody Beetrots è un suono solo che ti prende diretto sul muso, con precisi momenti di silenzio tra un colpo e l'altro solo per prendere la rincorsa. Ed è un suono che si sono costruiti nel tempo, ora più pop, e giusto un pelo più barocco e sinfonico di un qualsiasi dj dance che oggi trovi in classifica. Quindi tutto bene, non c'è davvero niente che non vada. Gente che poga e una foresta di braccia che salta a tempo e si muove a comando con  cori da stadio.

Se te lo vedi da fondo sala, invece, come tutti gli altri quarantenni camicia e occhiali tartaruga che ti trovi vicino, è come assistere a dei ragazzini che vanno sul tagadà. Partono a mille dal primo minuto e via: momento tiratissimo-pienissimo /  micro-pausa / altro momento pienissimo / micro-pausa / altro momento pienissimo, e via così per un'ora e un quarto. E' meno “rock” di quanto pensassi: Bob Rifo me lo immaginavo più mattatore, con tutti i discorsi sulla rivoluzione e quel desiderio di guidare le folle che leggi nelle cose che dice nelle interviste; io me lo immaginavo assatanato sempre in prima linea a urlare con gli occhi della maschera in costante flash, e dietro il palco che spara i fuochi d'artificio. Più un motivatore che un musicista, ecco. In realtà sono tre persone mascherate chine sugli agli strumenti per quasi tutto il live. Ci sono dei momenti più punk, dove a turno prendono le chitarre e saltano manco fossero Janick Gers. C'è uno stacco rockabilly - ma rockabilly vero con la voce alla Elvis sopra tutti gli strumenti distorti. C'è un super assolo di batteria e - siccome a farlo è un ex-Zu e non il batterista dei Toto - suona malato, tribale e impazzito. Ci sono poche altre stranezze ma sono nulla in confronto del lungo flusso martellante che ti sottopongono per tutta la durata dello show.

Da fondo sala lo spettacolo rischia di essere monotono: i volumi sono bassi, i pezzi continuano tutti dritti e tutti uguali, ogni tanto rimani colpito da qualche stacco di piano acido-novantone, qualcheimmersione deep, e piccoli cut&paste frenetici stile fidget del 2009; c'è l'incursione di Penny Rimbaud dei Crass che si fa il palco avanti indietro per tutta la durata del pezzo, e poi robe tipo “Rocksteady”, talmente cattive che probabilmente le avranno sentite anche i bancarellai abusivi posteggiati fuori. 

Un po' sotto le aspettative? Forse. Sicuramente violento. Basta avvicinarsi al palco, e il resto va da sé.

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L'articolo Basta avvicinarsi al palco, e il resto va da sé: il concerto dei Bloody Beetroots all'Alcatraz di Milano di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2013-11-11 00:00:00

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