Bologna non riparta: si reinventi, come ha sempre fatto

Gli artisti prendono in mano la penna per Rockit e scrivono al nuovo sindaco della propria città, da cui deve partire un cambiamento che rimetta socialità e cultura al centro. Si comincia sotto i Portici, con le parole di Cimini e Bebo dello Stato Sociale per Matteo Lepore

In senso orario: il Link, QOTSA live a Bologna, sgombero dell’Xm, manifestazione per Labas - foto da Fb e Wikipedia
In senso orario: il Link, QOTSA live a Bologna, sgombero dell’Xm, manifestazione per Labas - foto da Fb e Wikipedia

Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna. E poi Trieste, Cosenza, Salerno. E molte altre. Nel mese di ottobre l'Italia, tutt'altro che fuori dalla bufera pandemica e alle prese con il tentativo di surfare la crisi economica che il virus ha portato con sé a ogni latitudine, ha rinnovato il governo di quasi tutte le sue città più importanti. Da mesi, ormai, ci occupiamo stabilmente di politica. Un po' per il vecchio adagio che altrimenti è lei a occuparsi di te. Un po' perché pensiamo che sia più che mai il momento di farlo, perché la musica (fatta anzitutto di persone) deve tutelare i propri diritti e la propria specificità e deve provare a immaginare un futuro diverso per sé stessa. Perché il Covid ha rovesciato il tavolo, ma le gambe erano già state segate prima, da anni, con dolo di alcuni e la noncuranza di molti. Consapevoli dei ruoli e dei compiti di ciascuno – del fatto che l'ambito legislativo del settore vada affrontato in sede nazionale, e speriamo si faccia presto –, inauguriamo oggi una serie di articoli che guardano al territorio.

Perché la musica e la cultura – quella che arriva dal basso, che è fatta di gente che si sbatte molto e fattura poco – migliorano la vita delle nostre città e delle nostre comunità. Perché senza la musica, le persone che la fanno e la permettono, i luoghi che la alimentano, le nostre quotidianità sarebbero molto più povere. E non possiamo permettercelo. Per questo motivo abbiamo chiesto a una serie di artisti, amici e persone che stimiamo, che vivono le proprie città e la loro vita sociale e culturale di inviare una lettera al loro nuovo sindaco. Per raccontargli, dal loro punto di vista, quali sono i problemi che dovrebbero affrontare nei prossimi cinque anni, e perché è davvero il caso di farlo.

Iniziamo da Bologna con una doppia missiva, quella di Cimini, un "immigrato" innamorato della sua città di adozione, e di Alberto "Bebo" Guidetti de Lo Stato Sociale, "emigrato" da poco a Roma ma eternamente legato a casa sua.

Cimini e Bologna - foto Stefano Bazzano
Cimini e Bologna - foto Stefano Bazzano

Cimini

Caro Matteo Lepore,

Ti scrivo questa lettera non perché ci sia qualcosa che non va, ma perché tutto potrebbe andare meglio. Intanto ti avverto: mi permetto di scriverti cose su Bologna anche se non sono bolognese per davvero, perché vengo da un paesino che affaccia sul Tirreno, in provincia di Cosenza. Però a Bologna posso dire di esserci cresciuto o, forse, di esserci rinato un paio di volte.

Quando ho messo piede in questa città avevo poco più di 18 anni: avevo appena finito le superiori e, pur di scappare dalla noia invernale della provincia del sud, mi sono iscritto, quasi a caso, ad una facoltà dell’Unibo. Non conoscevo nessuno, mangiavo male, e avevo trovato un posto letto in doppia in una casa della Bolognina, precisamente in Via Gobetti, sopra l’XM24 per intenderci.

Ricordo il mio primo giorno, un sabato pomeriggio di settembre a passeggio per scoprire la città, sempre dritto, per fortuna, da Piazza dell’Unità, attraversando il ponte Matteotti, via Indipendenza, i portici enormi sopra la mia testa e poi Piazza Maggiore che si apriva con il cielo. Sono sicuro che, almeno il primo giorno, se quel percorso non fosse stato tutto dritto, mi sarei perso, andando contro la regola di Lucio Dalla per cui a Bologna non si perde neanche un bambino.

Passava il tempo e la città iniziava a darmi qualcosa: i primi amici, tutti leccesi, l’Università che si rivelava una scelta sbagliata, i primi concerti all’Estragon, in cui andavo quasi ogni sabato sera e i primi concertini durante la settimana, nei pub del centro o nelle zone limitrofe (io frequentavo il Wolf di via Massarenti).

Ricordo i centri sociali, che mi davano quell’idea di stare in un fumetto di Andrea Pazienza, pieni di personaggi strani, fumi, musica trash e alcol scadente la notte, pieni di accoglienza e servizi per tutti di giorno. Ricordo i festival estivi in centro, in Piazza Verdi, al Vicolo Bolognetti, dove ho scoperto la musica indipendente. E poi la prima serata al Cassero, in cui mi sono trovato per caso, ma che mi ha aperto un mondo nuovo, sui diritti di tutti e sul futuro (che dovrebbe essere presente) della nostra società.

Ero molto ingenuo quando sono sceso dal treno. O forse mi sentivo un po’ arretrato di fronte alla bellezza di una città che si muoveva grazie a culture di vario tipo. Ci ha messo poco Bologna ad adottarmi, a farmi riempire gli occhi di immagini che poi riportavo in canzoni, a farmi venire nostalgia di casa solo perché qui non c’è il mare.

Poi, come l’effetto plateau che si ha quando si va da poco in palestra, qualcosa ha iniziato ad arrestarsi: i centri sociali che chiudevano uno dopo l’altro, i festival nelle piazze del centro spenti e spostati in periferia, le ordinanze anti alcol, anti movida, anti qualcosa. Io, che mi ero trasferito dalla Bolognina al Centro, passavo per Piazza Verdi la sera d’estate, vedendo luci spente e spacciatori accesi, effetti di ordinanze forse sbagliate come la mia facoltà universitaria. In tutto questo una “movida” che non si fermava - e che tutt’ora non si ferma: matricole che continuano a bere cicchetti a 1€, gruppi di ragazzi che disturbano ragazze che tornano a casa da sole impaurite e con la testa bassa, una Bologna non più in nome dell’arte ma in nome di alcune famiglie che la sera vanno a dormire presto.

Però certi modelli è difficile distruggerli: la musica continuava, i locali la pompavano, la domanda cresceva e la città si adattava bene. Il Locomotiv, il Pratello, il Cinema in Piazza, il Covo, il TPO, il Cortile Cafè ritrovo di artisti, il Teatro Comunale “ribelle” nel periodo di Ezio Bosso. Io che cambio facoltà e scelgo il DAMS, e il professore che alla prima lezione ci dà una dritta: “vivetevi questa città, perché ha tanto da offrire”. Seguo il consiglio come se fosse una regola vivendomi la città giorno e di notte e riuscendo, bene o male, a laurearmi. Bologna mi ha regalato i primi e gli ultimi concerti di ogni tour che ho fatto, il piccolo e grande pubblico, la gavetta e una parvenza di successo.

Poi la pandemia. La pandemia in una città che non hai smesso di avere voglia. La fatica dei locali, dei cinema, dei teatri e di tutti quanti. Il silenzio impossibile fuori dalle finestre. E Adesso?

Adesso, con tutto quello che ho detto fin qui, si intuisce facilmente che Bologna è un modello. Chi viene qui sa che può trovare tutto questo, e ci viene apposta. Bologna vive della curiosità degli altri. Che bello rivedere la gente in fila fuori dai cinema! Che bello vedere una città che solo l’estate scorsa, mentre rifiatavamo da una pandemia globale, ha offerto oltre 400 eventi! Che emozione tornare ai concerti al chiuso, alle mostre senza distanziamento. Ci stiamo svegliando da un brutto sogno - anche se siamo ancora in dormiveglia - e iniziamo a vedere qualche sorriso sulle nostre facce e su quelle degli altri.

Bologna, per quello che rappresenta, ha la responsabilità morale di guidare questa ripartenza e di far vedere all’Italia e al mondo che attraverso la cultura si può fare umanità, si può creare futuro. Bologna dovrebbe basarsi sempre di più sulla cultura, valorizzarla e fare rumore, fare colore. Alle spalle resta qualche maceria su cui è opportuno ricostruire. Può essere da esempio per Milano, che ha visto chiudere quasi tutti i locali, per Torino, che se la passava male già prima della pandemia, e poi Firenze, Roma, Napoli, o Cosenza, città dal cuore grande ma in cui spesso le macerie, soprattutto nel centro storico, sono reali.

Credo in questa città e nel suo potenziale. Credo che l’arte debba restare in centro senza doverla allontanare forzatamente nelle periferie per assecondare i disturbi di pochi elettori. Credo che i grandi eventi possano ripartire da qui e sì, credo che Cosmo quei concerti ad ottobre avrebbe dovuto farli. Perché qui, te lo dice uno che di concerti e festival in città ne ha visti, il pubblico è abituato a seguire le regole, o a trasgredirle in maniera corretta.

Insomma Matteo, io ci credo. Credo in Emily Clancy, vicesindaca con gli occhi accesi verso le notti di questa città. Credo nel potere dell’arte, e ogni volta che giro per i vicoli del centro storico penso a Stendhal, uno che di bellezza se ne intendeva, che nel suo periodo di visita in città ha definito Bologna come “il quartier generale della musica in Italia”, senza immaginare quello che sarebbe successo più di cento anni dopo negli stessi vicoli, nella Bologna di Guccini, Dalla, Morandi e Freak Antoni. Fino a Carboni, Bersani, Cremonini e Lo Stato Sociale. Fino a noi, piccoli artisti della Bologna di oggi, che sentiamo e sosteniamo il peso dei nostri padri.

Siamo in dormiveglia ma la sveglia sta per suonare. La voglia c’è e le capacità pure. Bologna di giorno, assonnata, lavora. Di notte vive.

Che facciamo?

Bebo - foto Jessica De Maio
Bebo - foto Jessica De Maio

Alberto "Bebo" Guidetti

Non vorrei cominciare queste righe riprendendo il filo di cosa è successo durante gli ultimi 18 mesi nel mondo e delle conseguenze che ha avuto nel settore della produzione culturale: è sotto gli occhi di tutti.

La parola che più è stata usata è “ripartenza”, una parola che non ha solo stufato per abuso d’utilizzo, ma che si rivela anche falsa: non c’è motivo di ripartire, ma solo di partire sotto nuove coordinate. Scrivo queste righe il mattino seguente l’abbattimento del DDL Zan, una prova di forza della destra parlamentare, parte della quale è al governo con il Partito Democratico e alcune forze di sinistra. Un evento che ben racconta la distanza, non solo tra il paese reale e la sua governance, ma tra due idee di vita inconciliabili: allargamento delle tutele e dei diritti per tutt*, riformismo ecologico e un nuovo patto sociale incardinato sulla dignità del lavoro, in contrapposizione ad una visione del mondo oscurantista, antica e che, mi auguro, si esaurisca con la scomparsa di questa generazione di dirigenti, prevaricati da persone più brillanti e moderne.

Prendo spunto da questi eventi perché il nostro mestiere si colloca esattamente al crocevia delle istanze che il futuro ci richiede di soddisfare. Non c’è vita culturale senza farsi carico di questo approccio intersezionale e chi lo nega ha qualcosa da nascondere. Scrivo a lei con cui mi sono scontrato numerosissime volte - e che ha scelto come vicesindaca una brava compagna come Emily Clancy - come scriverei ad ogni suo collega di ogni città: dalla infinita Roma al più piccolo comune.

La produzione culturale popolare e contemporanea è un pilastro della vita di chiunque ed è patrimonio dei territori che la vedono nascere e crescere. È però un lavoro che si basa sulla scarsità e la parola “ripartenza” fa presagire quel approccio aziendalista e manageriale che si era affacciato nell’ultimo decennio, un approccio che si è rivelato essere più che fragile, scoprendo lavoratori senza tutele e una settore che viveva di una auto-fiction talmente tanto nebulosa ed egoriferita che poi in mano è rimasto molto poco. Ci eravamo illusi di essere immuni alle logiche capitaliste e invece i più forti sono ancora lì, mentre i più deboli hanno dovuto prendere strade diverse, anche tragiche.

Il Comune di Bologna nel corso delle ultime amministrazioni ha avvallato scelte per me incomprensibili, dagli sgomberi di esperienze sociali al fallimentare Moloch chiamato Fico soprassedendo sull’idea naïf di mobilità, vero però è che nel momento in cui si è posto come corpo intermedio nella famosa trattativa tra riders e piattaforme digitali ha avuto un ruolo importante. Ha fatto una cosa nuova per un comune: occuparsi della dignità lavorativa dei propri abitanti. Da questo vorrei prendere spunto.

La produzione culturale è precaria e vive di scarsità per sua natura, ha bisogno di essere tutelata e stimolata anche grazie al coordinamento e all’intervento della municipalità, non può essere il frutto di pura iniziativa privata che occasionalmente emerge è viene sussunta come medaglia di cui farsi vanto. È un modello che ha funzionato dimostrandosi fragile come non mai, misura di quanto fosse impensabile ignorare gli aspetti di relazione istituzionale, mettendo in piedi un riforma come quella che è stata presentata al ministro Franceschini e che, nella discussione, è stata mortificata come vengono quasi sempre mortificate le istanze dal basso. Anche questo un altro esempio di quella separazione di cui prima.

La politica territoriale esprime novità e lungimiranza, è il prodromo dei cambiamenti su base nazionale che milioni di persone desiderano. Come settore pensiamo di essere un antidoto alla solitudine, di essere una forza contraria al deserto che alcune volte inonda le vite delle persone. Per questo scrivo a chi il territorio lo amministra ben più di un ministro, un tavolo tecnico o uno scranno del senato.

Serve qualcosa di simile ad una Art Commission, servono politiche di coordinamento e sviluppo, serve aprire gli infiniti portoni chiusi da anni che ammuffiscono in nome di Cassa Depositi e Prestiti, un’entità che se non fossimo nel tardo capitalismo sarebbe un prodotto della DDR. Servono dati di realtà collettiva.

Mi sono persuaso negli anni che la politica così come fare cultura siano mestieri di relazione con l’altro da sé: i palchi sono un’emanazione di questa relazione così come l’amministrazione comunale è un’emanazione della relazione che intercorre tra cittadini e politica reale. Non c’è più voglia di vivere questa relazione come subordinati, ma come parte di un sistema che non amministra, ma spinge i corpi cittadini verso un futuro più brillante di quello espresso in senato di recente, ad esempio sul ddl Zan.

Non per noi, ma per tutt*.

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L'articolo Bologna non riparta: si reinventi, come ha sempre fatto di Redazione è apparso su Rockit.it il 2021-11-18 10:21:00

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