Siamo tutti falliti: parola di Buñuel

In parte macchina, in parte animale. Tra noise, hardcore e spoken word il supergruppo – orfano di Capovilla – ritorna con l'album "Killers Like Us": musica cupa e violenta (fatta da chi cupo e violento non è per niente), per l'uomo ad alta psicolabilità del terzo millennio

I Buñuel - foto stampa
I Buñuel - foto stampa

“La pop culture è sopravvalutata”. A dirmelo, lapidario, è Eugene S. Robinson, immenso – in tutti i sensi – frontman dei Buñuel, già nelle fila dei Whipping Boy nei primi Ottanta e più notoriamente dei suoi Oxbow dai Novanta in poi. Prese come summa di quanto Eugene ha macinato fin'ora, come citazione da tramandare ai posteri, queste cinque parole cinque funzionano a dovere. Perché Eugene esce per l'ennesima volta da questa Bibbia apocrifa formato CD come un'ideale punta di trapano nei pensieri nostri più estremi.

Con Killers Like Us (2022, Profound Lore/La Tempesta) arriva a saldare la meglio generazione spoken-word con i pruriti noise, attraverso la via dell'hardcore, e possiamo in qualche modo avvicinarlo al genio di Henry Rollins di The End Of Silence e Weight o, se preferite, allo Schwarzenegger di Total Recall: il nuovo album dei Buñuel è similmente la saga di un uomo che ruggisce costretto in una gabbia di pesante metallo elettrico.

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“Negli ultimi quattro anni abbiamo cambiato bassista, perché in un gruppo sorgono dei problemi legati ai rapporti interpersonali o al lavoro che si compie assieme", mi spiega Xabier Iriondo, che dei Buñuel ricopre il ruolo di chitarrista. "Così Andrea Lombardini ha preso il posto di Pierpaolo (Capovilla), facendoci ritrovare la spinta e la solidità nel progetto. Abbiamo registrato e mixato il disco, che era pronto da due anni ma, vista la pandemia, abbiamo atteso la sua pubblicazione per non buttarlo via”.

Noise, rock, hardcore e spoken word, dicevamo, che cosa avranno mai in comune? Apparentemente poco e niente, a parte forse l'impatto emotivo, ma da un punto di vista dell'attitudine qualche cosa la si può trovare. Tutti sono generi a loro modo notturni, a loro modo meditativi e saldamente poggiati su un (profondo) disagio personale. Inoltre il carattere, per così dire, elitario sia del noise che del HC e dello spoken li allontana dal consumo di massa e il volontario isolamento dei protagonisti ne preserva la loro purezza artistica.

Nondimeno, sia in un ambiente che negli altri, si trovano così tanti artisti tormentati da demoni interiori che spesso, sull'onda di emotività molto complesse, con tanta difficoltà riescono a vivere in una dimensione diversa da quella musicale, benché anche quella non sia propriamente tra le più ovattate e confortevoli. When God Used the Rope, primo singolo uscito, parla degli esseri umani in termini di “animali falliti” ed Eugene non fa nient'altro che confermarlo: “La società mi mostra questo. Fatta eccezione per i miei figli e non ti dico nemmeno tutti i bambini. Passo molto tempo con loro nei parchi giochi e posso testimoniare che gli stronzi degli adulti danno alla luce dei bambini più stronzi”.

La copertina di 'Killers Like Us'
La copertina di 'Killers Like Us'

Anche il resto di questo terzo capitolo della trilogia iniziata con A Resting Place for Strangers (2016, Tannen Records) e seguita con The Easy Way Out (2018, La Tempesta International), tra palazzi noise che crollano (It’s All Mine), manuali di salvezza ACAB come non se ne leggeva forse dal 1984 (For the Cops), potenziali perizie psichiatriche (When We Talk), blasfemie varie ed eventuali (Roll Call) e luoghi mefistofelici che sanno di fine del mondo ben più che incombente (Even The Jungle), non suona come la più rosea, leggera e speranzosa delle uscite discografiche odierne. Il che non è necessariamente un male.

E anche se qualcuno continua a citare imperterrito Jesus Lizard, Shellac e Swans come punti di riferimento, il discorso qui direi che è ben più minimale. Crudo. “Eppure, mi considero una persona con un'indole abbastanza solare, tanto che nella mia vita ho suonato strumenti molto allegri, come il banjo e il violino, anche se mai con delle capacità che potevano fare di me un vero musicista”, mi dice Eugene, lasciandomi perplesso. In realtà la proposta musicale dei Buñuel si è fatta negli anni tanto cupa e monolitica da destare l'interesse pure della Profound Lore, label canadese di (a braccio) Full Of Hell,  Lingua Ignota e Dälek, ma Eugene va dritto per la sua strada e insiste: “Le persone che ho preso a pugni erano probabilmente sorprese perché stavo sorridendo proprio prima di prenderli a pugni”.

E quando borbotto il mio smarrimento aggiunge: “Noi non siamo un gruppo violento e cupo anche se siamo più violenti e cupi di qualsiasi gruppo del genere. È l'uso di parole come 'cupo' e 'violento' che di solito non è corretto. Per me rabbia e odio sono più idee che stati emotivi. Quello che sono, tuttavia, è qualcuno che facilmente risponde a stimoli negativi in un modo che ferisce. E non sto parlando soltanto di sentimenti”.

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Del resto, il titolo del disco è Killers Like Us, mica All You Need Is Love, anche se pure questo “può avere diverse interpretazioni", mi corregge al volo Xavier. "Io intendo quel noi come genere umano, magari per Eugene, a cui appartiene la pistola della copertina e che ha ideato il titolo significa altro e per Franz (Valente, confermato alla batteria) altro ancora”. Quindi, ricapitolando, o sono iellato io o i due Buñuel che mi sono capitati in sorte sono i meno assertivi e semplici da incontrare.

“C'è una canzone che mi ha fatto piangere quando l'abbiamo suonata: è Smiling Faces of Children, sul primo disco, là c'è tutta la tua fottuta positività”, mi dice Eugene ridendo. Ne consegue che la musica, iperhard-noise – suonato in modo divino – dalle inflessioni spoken per l'uomo ad alta psicolabilità del terzo millennio, sembra essere strettamente pensato per la performance dal vivo più che per una chiacchierata (forse inutilmente) esplicativa, dove la potenza eruttata dagli amplificatori Marshall si contrappone l'animale Eugene S. Robinson e il suo messaggio: “Bruce Dickinson degli Iron Maiden sta facendo un tour di spoken word e, se la connessione con quello che faccio io con la parola è la conversazione, la sostanziale differenza tra noi immagino sia nella qualità della conversazione. Non so lui, ma io cerco di evitare di fare teatro, che è un buono e forse più onesto angolo di incidenza di quel che può esser il rock dopo una certa età".

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"Con questo intendo dire che il delirio di un giovane rispetto al proprio posto al mondo suona bene sul palco. Ma quanto suona bene nelle mani di adulti che avrebbero già dovuto risolvere oramai un po' di quella merda?", continua Eugene. "Le mie preoccupazioni in questi tempi sono esistenzialiste e non c'è niente di delirante in questo. Quindi la musica deve cambiare: lo spoken rende quel cambiamento più facile da seguire. Magari Bruce Dickinson si sente a suo agio recitando poesie su Run to the Hills o The Number of the Beast, vallo a sapere”. In parte sintesi del presente che li ospita e in parte proclama, Killers Like Us celebra fino in fondo il rito dell'arte estrema perché, su questo siamo tutti d'accordo, la pop culture è sopravvalutata. In parte macchina, in parte animale, i Buñuel vi cercano per distruggervi. Prima data il 2 luglio all'Arcella Bella di Padova e poi in tutta Europa. Non fatevi trovare impreparati.

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L'articolo Siamo tutti falliti: parola di Buñuel di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2022-03-08 10:51:00

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