Calcutta è solo Calcutta: il nuovo disco "Relax" canzone per canzone

Hai ascoltato il nuovo disco di Calcutta? E lo hai ascoltato bene, ma proprio bene? Questo track by track è un invito a farlo per davvero, perché altri così in giro non ce n'è

Calcutta nella foto di Gianluca Palma
Calcutta nella foto di Gianluca Palma

Doveva essere il 2003. Mi trovavo a Bologna, piazza Maggiore. E le cose che ricordo con più affetto sono due. La prima: la luce per la strada. Gli stessi colori che si possono trovare nelle immense piazze vuote di praticamente tutta Italia, precisamente nel tardo pomeriggio dei giorni non lavorativi. La seconda era inevitabilmente il suo sguardo. Quegli occhi sempre accesi, come costantemente attenti alla realtà che in quel momento lo stava e ci stava circondando. Lucio non parlava sempre, anzi. Mi colpiva il suo modo di ragionare le parole prima di buttarle fuori, sembrava come se le stesse masticando prima, una digestione lenta, che aveva lo stesso suono della meditazione.

Quella volta in particolare, quando mi resi conto, quasi in un’epifania, di queste sue particolari doti, indossava un paltò salmone bellissimo, che se ci penso mi viene un po’ da piangere, da quanto mi manca, visto che non c’è più da ormai diversi anni. In quel periodo era biondo. Ho incontrato poche persone nella mia vita in grado di comunicare così tanto come lui, anche soltanto restando in silenzio o lanciando un mezzo sorriso. Intendiamoci quando ci incontravamo eravamo capaci di andare avanti per ore intere a parlare di tutto. Lui però lo faceva sempre in un modo così leggero. Con la stessa naturalezza di una ballerina classica alle prese con un movimento di Čajkovskij.

In molti, per motivi più stilistici, soprattutto i cosiddetti “addetti ai lavori” del mondo della musica, hanno paragonato Edoardo D'Erme, in arte Calcutta, a Lucio Dalla. Ma io mi chiedo? Quando la smetteremo di tentare in tutti i modi di sopperire alla necessità innata che abbiamo di dover paragonare, classificare, definire, paragonare sempre tutto ciò che ci sfiora? Ha senso, oggi, nel 2023, prendere due realtà completamente diverse tra loro, dotate di vita e individualità propria e paragonarle, alla ricerca di analogie, correlazioni, similitudini, simmetrie?

Edoardo D’Erme, Calcutta, non c’entra niente con Lucio Dalla. Non c’entra niente con Lucio Battisti. Non c’entra niente con Luca Carboni. Non c’entra niente con la bossa nova. Calcutta è Calcutta. C’entra con loro forse soltanto per la comune e incredibile capacità di essere sé stessi e di farsi apprezzare così come sono. Con i propri tempi (ci sono voluti quasi cinque anni, nel suo caso, per avere un nuovo album), con le proprie ossessioni, i silenzi e i mezzi sorrisi nascosti. Quindi, detto fuori dai denti, papale papale, a me, a noi, non ce ne frega proprio niente se il nuovo ultimo fresco freschissimo disco di Calcutta non ti è piaciuto e tu senti questa incredibile smania e necessità di doverlo dire a tutti su qualunque social esistente su questo misero pianeta. Quindi zitto. E ascolta. Relax.

Calcutta nella foto di Angelica Schiatti
Calcutta nella foto di Angelica Schiatti

Coro

Cominciare un disco attesissimo con un coro degli alpini denota un animo coraggioso. E iniziarlo con la frase “Se non esistessero i soldi… noi due dove saremmo” sa tanto di grandissima trollata. Ed è giusto che sia così. Per stemperare la tensione ci voleva quasi per forza. Un po’ come l’uscita sul profilo dell’etichetta discografica Bomba Dischi, qualche giorno prima, dei testi letti in versione ASMR da Sara ASMR. “Resta qui vicino tanto tornerò… Quando finisce il buio.” E così, senza che me ne sono accorto, primo coro degli alpini ascoltato fino alla fine della mia vita check. Sarà forse merito della produzione di Myd, Poi, De Sanctis e dell’aiuto di Branco dei Phoenix?

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Giro con te

Che tu sia per me il coltello, diceva David Grossman. Libro visto e rivisto tra gli scaffali delle Feltrinelli del mondo. In un mondo in cui le persone sono così disperate che fanno finta di perdersi i numeri reciproci pur di trovare una scusa per scriversi. Fanno finta di leggere libri solo per fotografarli su Instagram. Fanno finta che vada tutto bene. “Che l’anno passato è stato uno schifo e ancora qui crolla un po’”. Perché tanto lo sappiamo tutti che la situazione è grave. Gravissima. Perché nessuno ha il coraggio e la sincerità di dire agli altri che cosa stiamo cercando, che cosa vogliamo davvero. Siamo positivi, su. Non nessuno, ma pochissimi. Un po’ come quelli che hanno letto per davvero David Grossman. “Io volevo solo un giro con te, prima dell’apocalisse, che tutto finisse per oltre il limite”. Perché siamo in un periodo in cui ci sentiamo persi persino sotto casa nostra. Che poi, quale casa nostra? Forse siamo davanti a uno dei pezzi più belli di tutto il disco. Di una nostalgia e una dolcezza disarmanti.

Controtempo

Che tutti parlino toscano quando si viaggia è una grandissima verità. C’è dell’amaro in questa canzone. In cui non si sa nulla, ma proprio nulla, non si riesce a riconoscere nemmeno la tristezza. Come si facesse fatica a sentire qualunque tipo di sentimento, come se si fosse anestetizzati da tutto ciò che è intorno. “Solo il mare lo sa” anche perché, fa tutto così schifo ed è tutto così latente che nemmeno c’è stato il tempo di conoscersi davvero: “Ti ho conosciuta a metà”. Unica certezza: “ero contento sentendomi con te, in controtempo”. Dai, pochi giri di parole, questo io lo chiamo “saper raccontare”.

2 minuti

“In questo disco ci sono solo due hit” ho letto da qualche parte un commentomemorabile che non ha bisogno di altri commenti. La boria che si può avvertire in giro fa paura. La confusione che regna sovrana postpandemia è talmente evidente che basta uscire in strada per toccarla con mano. Siamo così confusi e smarriti che nemmeno ci riconosciamo quando ci incontriamo per strada. “Come un lampo sopra la città, ti ho vista in un angolo, da sola nel traffico” ed è un’immagine incantevole se non fosse che strugge sentire che non è chiaro, non è sicuro, perché “ma magari non eri neanche te”. Infatti l’unica cosa che salva in questo pezzo sono le braccia, non il pensiero, ma le labbra, qualcosa di tangibile, fisico, toccabile, sfiorabile, concreto, dell’altro.

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Tutti

La parola d’ordine di questo disco che chiama alla rilassatezza resta però l’incertezza. Quella seria. Quella della vita. “Ho messo le scarpe nuove per i giorni di fame”. La stanchezza che ci provocano le cose che girano là fuori, politica in primis, è così lancinante, che “fuori la rivoluzione e io mi vesto di bianco”. Quasi a chiamarsi lontano da tutto. In questo pezzo c’è sempre poi un tentativo di salvarsi grazie a qualcun altro, così come nella canzone precedente. Che poi non è un modo di salvarsi meschino, ma è quasi un grido disperato perché, infatti, “gli altri si perdono come niente”. Come quando si scorre (per chi ce l’ha) le facce su Tinder o quelle sul resto dei social (per chi non ce l’ha). Manca così tanto la libertà del “dormire nudi sui tetti”, eppure noi siamo sempre troppo codardi per qualunque tipo di passo. E in effetti io “non ti ho detto mai quello che mi fai”. E suona quasi fastidioso sentirlo, ma dio solo sa quanto sia vero, come ci ha ridotto questa immobilità, come la paralisi di Joyce, “che sembriamo tutti falliti” perché siamo “tutti impauriti” e "tutti esauriti".

P.s. Piccola chicca: c’è pure un dissing a Jova che organizza festival su una spiaggia (che devasta) e poi “si lava la faccia”.

Calcutta nella foto di Gianluca Palma
Calcutta nella foto di Gianluca Palma

Intermezzo3

(Ah gli intermezzi di Calcutta. Data zero di Mainstream. Pesaro. Grandi attese. Ricordi commoventi.)

SSD

Calcutta non ci lascia però molto tempo per riprenderci, infatti squarcia di nuovo tutto il lieve abbandono appena guadagnato, con il break centrale or ora ascoltato, con un brano ancora tagliente come il coltello di Grossman: “Se questo è il mondo, forse lo rifiuto”. La riflessione qui si apre verso una critica alla precarietà del tutto. Tra memorie SSD precarie e che si possono perdere o smarrire, una luna che non c’è più, qualcuno che ha scritto sulla sabbia “AIUTO”, neanche fossimo dei naufraghi spiaggiati e sperduti e il senso di stordimento qui si mescola anche alla difficoltà di credere alla realtà che ci circonda, agli alberi piantati al supermercato e quindi all’ipocrisia di tanto greenwashing, a cui nessuno ormai riesce più a credere. E basta poco, guardarsi intorno, e non riconoscere più questo debole pianeta in pericolo come casa nostra. “Andiamo via” dice “andiamo via”. “Perché non è qui”.

Loneliness

Constatare la ferocia di questa vita non è cosa che lascia indifferenti. In Loneliness allora si cerca di trovare un responsabile. Inevitabile rendersi conto che non è colpa di altri se non di noi stessi. Della nostra loneliness. Forse al nord si è più soli perché al nord si concentrati più su sé stessi? E da cosa si vede? Di sicuro anche dal “sorriso senza allegria”. Un sorriso di facciata, forse il sorriso professionale di cui parlava David Foster Wallace in Una cosa divertente che non farò mai più, in cui, con una lucidità che in questa canzone incontriamo, ormai rarissima nel 2023, ci si rende conto che siamo tutti finti, finti e soprattutto tutti soli. E non c’è spazio per i sentimenti, per il romanticismo, per vivere, semplicemente, perché “le stelle, quelle là, le conti solo tu”. Il capitalismo ci distruggerà? Ci renderà tante macchine sole senza capacità alcuna di empatia? Non lo so. “Ma che ne so” dice Calcutta. Però “se ti senti solo, se ti senti solo. Forse è ora di andar via”.

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Ghiaccioli

Anche in Ghiaccioli si continua sulla stessa linea. E si alterna il senso di solitudine a illuminate prese di coscienza. Qui i ghiaccioli non siamo altro che noi. Perché, questa che si ascolta, altro non è che una bellissima canzone sulla distanza. E quando c’è distanza c’è freddo. Nemmeno ce lo ricordiamo più forse cosa significa stringersi in inverno sotto alle coperte, avvicinarci per esorcizzare il freddo. Forse abbiamo un po’ dimenticato come si fa. Intendo a sceglierci le persone con cui stare: “C'è chi mi riempie di baci” e “C'è chi mi riempie di solitudine”.

Calcutta all'evento romano di lancio del disco nella foto di Mattia Zoppellaro
Calcutta all'evento romano di lancio del disco nella foto di Mattia Zoppellaro

Preoccuparmi

Chissà poi perché i posti dove oggi andiamo ad abitare sono sempre più piccoli? Forse perché non abbiamo più soldi. Forse perché non fanno più le case di una volta. Quelle con le metrature gigantesche, con giardino e terrazzo. Siamo tutti pigiati in ambienti piccolissimi, spesso in stanze, di case condivise. “A volte non ne posso più”. Questo continuo preoccuparsi delle cose, quello che potremmo definire “affanno”, ha senso ancora? “Stammi più accanto che dentro ho l'inferno”, perché è ancora vero che forse l’inferno sono ancora gli altri, spesso ce ne accorgiamo, ce lo diciamo molte volte: “non voglio restare più in mezzo alla gente”. Cerchiamo  grandi spazi. In tanti ormai l’hanno capito. Che abbiamo bisogno di stare bene. E di farlo non “in un piccolo ambiente”. Perché “il mondo può”, con la sua fretta e superficialità, solo “sfiorarci”, niente di più. Se stiamo bene.

Allegria…

Chiude questo piccolo viaggio nei giorni d’oggi forse il brano più intricato e meno immediato di tutti. Avvolto nello stesso gusto dolce-amaro che si avverte quando ci guardiamo attorno, ogni volta che ci sentiamo un pochino fuori posto. Un sapore misto a quello degli strumenti a fiato di un Lunedì cinema post apocalittico. E l’ossimoro tra titolo della traccia e sound melanconico si sente ancora più forte, quando ci accorgiamo che le persone a cui vogliamo bene, quando non sono con noi, ci rendono praticamente inutili. “Ma come si fa?” Come facciamo a ricordarcelo più spesso? Che tu, tu che mi sei accanto, “allontanandoti, svuoti ogni gesto e lo lasci a metà”.

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Io credo che questo sia un disco che è stato molto meditato. E si sente. Proprio come le parole che mi diceva Lucio quando ci si incontrava. Lo si avverte anche da lontanissimo. Non ci sono tavolini, qui, in cui costruire cose artefatte. Tutto è chiaramente alla luce del sole. Quindi, niente, raga, un consiglio? Mettetevi comodi. E ascoltate bene. E non come quando andiamo alle mostre (dicono che si passino non più di cinque secondi davanti a ogni quadro di un museo e non di più, ma cosa si vorrà mai vedere in cinque secondi?). Ripeto ascoltatevelo bene. Con calma. 

Relax.

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L'articolo Calcutta è solo Calcutta: il nuovo disco "Relax" canzone per canzone di Natan Salvemini è apparso su Rockit.it il 2023-10-21 15:39:00

COMMENTI (1)

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  • ManuelaSodano 3 mesi fa Rispondi

    Che bella recensione! Mi rendo conto che stavo sentendo da giorni questo disco e lo sto ascoltando solo ora. Grazie !
    Manu