I Camillas - I CAMILLAS E LA TECNOLOGIA: Impegno cinque - La scossa

Tornano I Camillas con la loro rubrica, si interrogano sul concetto di scossa, il fenomeno alla base di ogni elettrodomestico. Fabrizio Festa ai collage. Ecco The Scossa Issue, il quarto episodio de I Camillas e la Tecnologia.



Abbiamo trascorso le ultime settimane a raccogliere olive. Verdi, rosse, nere profilate alluminio, damascate con striature blu oltremare e indaco, color mattoncino di Calabria e deserto di Siria...vasconi di olive che per settimane hanno galleggiato nella loro incertezza, permettendoci così di confidare nel futuro.
Ruben troppo spesso si ritirava nella solitudine, massaggiandosi le tempie con fare furtivo, smentendo però platealmente qualsiasi suo coinvolgimento nelle vicende più recenti. Mentiva.
Aveva presso la scossa.
Nella genealogia fattuale della tecnica, la scossa si colloca in uno dei vertici, quello più appuntito. Evento che ci insegnano prestissimo ad evitare, persiste tuttavia sempre, soprattutto ogni qualvolta l'oggetto elettrico si collega alla rete per prendere vita attiva (quella passiva è invece autonoma dall'elettricità, ma risulta sostanzialmente, per noi umani esigenti e frettolosi, inutile...poche cose raggiungono il grado di tristezza di una lavatrice in un bosco...).

Scongiurata dall'uso sapiente di materiali isolanti, la scossa sussiste come negazione primaria dell'uso: un feroce fattore trasformativo, che può far mutare ogni funzionale e simpatico strumento elettrico (OGNI), in un assassino potenziale, un torturatore, un persecutore.
La scossa giace con tutta la sua potenza distruttiva nella pacatezza delle plastiche color pastello, sotto chili di gomma, dietro a procedure attente e scrupolose, scongiurata dalla regolare disposizione di fili rossi, neri, gialli, ciascuno con un proprio percorso e destino che mai deve intrecciarsi con quello degli altri (altrimenti ecco l'annullamento del sorridente funzionar...),. La scossa è insieme rivelazione e sparizione: segnale dell'impossibile connessione fra il corpo umano e la rete elettrica. Esige rispetto.
Quel pomeriggio Ruben l'aveva presa con calma. Caffè, flessioni, lettura dei giornali, passeggiata, merenda, flessioni, telefonata, flessioni. Ma quella lampada da tavolo, eh no, lampeggia! Spenta...no, si accende...ecco a posto....no....aspetta stringo la lampadina...ecco....no....NO!! si è rotta la lampadina! Accidenti....adesso devo togliere il pezzo che è rimasto dentro...uffa...proviamo così....dai.......AH!

E' arrivata la scossa. Un tunnel di aghi e piccoli gnomi appuntiti, sagaci e ferocemente dotati di forconi appuntiti ed infuocati, su su per il braccio, fino a schiantarsi nell'ansa del gomito e poi tornare giù, sparpagliandosi nelle dita, migliaia di piccoli formichini dispettosi, ciascuno con la sua torcia in fiamme bella accesa, ad inseguire mostri invisibili su e giù per nervi e tendini. Poi tutto è passato, un lento battito di ciglia, ma niente è stato più come prima. Ruben adesso provava risentimento per la lampada ed il frullatore...si alzava la mattina insieme al sole e, uscito nei prati, avviava discussioni infinite con le piante e gli insetti. Entrava con esagerata circospezione nei luoghi pubblici ed usava, senza alcun rimorso, la scusa della paura delle prese elettriche (paura dei buchini? Paura dell'infilare -e se non uscisse più!?!? ) per evitare appuntamenti e non prendere impegni.
Zagor, consapevole che il problema andava affrontato in maniera sagace e rapida, scelse un approccio drastico. Come primo tentativo, fece rapire Ruben da alcuni ex militari svizzeri, affinchè lo trasportassero nei boschi delle valli dell'Urgunz, dove migliaia di capi di bestiame vivono liberi nelle radure, controllati da un reticolo di fili elettrificati, che li circondano con apparente circospezione. Mucche, maiali, capre, pecore, lama, gnu, yak, giraffe commestibili, tapiri e pipistrelli terragni...ciascuna specie aveva sviluppato un proprio sapere, che veniva trasmesso alle nuove generazioni con costanza, così che la mappa della disposizione dei fili elettrificati era naturalmente ed istintivamente conosciuta dagli animali. Il loro movimento nello spazio era quindi fluido, conoscevano i sentieri del 'dove passare e dove no'.
Sapevano che in cambio dell'interiorizzazione di questa conoscenza avrebbero avuto per sempre erbetta fresca, cortecce da sgranocchiare, terra da scavare gioiosamente. In una dinamica virtuosa di scambio, gli animali erano scesi a compromesso con la tecnologia, che a loro appariva, nelle mattine gocciolanti di rugiada, sotto forma di lunghissimi filamenti argentei, che si distribuivano secondo uno strano disegno geometrico, su tutta la superficie delle valli dell'Urgunz.

Qui Ruben, pensava Zagor, avrebbe dovuto sperimentare e saggiare le proprie capacità di adattamento, in un modo così serio e massiccio che l'apprendimento sarebbe stato definitivo, cancellando così ogni titubanza o dubbio in merito al rapporto con la tecnologia. La brutta esperienza della scossa con la lampadina sarebbe stata assorbita dalla prestanza e dall'agilità percettiva, dal successo che avrebbe caratterizzato la sua sopravvivenza nella reticolazione imperturbabile e cattiva dei filamenti elettrici.
I sicari colpirono una mattina di maggio. Indecisi, e forse professionalmente non proprio soddisfacenti, entrarono in casa di Ruben ed anche in casa di Zagor (diranno poi alla stampa che con quei nomi non avevano capito niente e non sapevano bene chi fosse l'uno e chi l'altro e del resto questo non era un problema soltanto loro...) prelevandoli di peso, dopo averli tramortiti con abiprupilcentocilene. Poi, affittato un elegante elicottero bordeaux, partirono per le valli dell'Urgunz, depositando i due addormentati in zone diverse, lontane tra loro almeno dieci chilometri. A quel punto avevano la coscienza a posto, avevano fatto il loro dovere, si erano meritati i soldi che avevano ricevuto: si fermarono in un bar, per una verifica dell'operazione davanti ad un bel bicchiere di spuma.
Nel frattempo Ruben e Zagor si erano già svegliati: prendendo profondamente respiro, compresero nella profondità delle loro anime che non erano più a casa. Il fango intorno, la brezza frizzante, la luce del sole caldo, lo squittire delle talpe, il ciufolare degli usignoli innamorati, lo sferragliare delle corna dei cervi, lo scricchiolio dei colli delle giraffe, che si torcono per mangiucchiare le più fresche e morbide gemme degli alberi. Tutto poteva contribuire a trasformare la loro strana esperienza in un'opportunità di piacere e rilassatezza.
Lontani fra loro ed inconsapevoli del destino speculare, Zagor e Ruben si avviarono, con passo deciso e tranquillo, lungo il sentiero che sembrava aprirsi davanti a loro: troveremo qualcosa da mangiare, si dicevano...e poi una strada ed un passaggio da qualcuno....chissà dove siamo...non ho nemmeno il cellulare...ah, la tecnologia quando serve non c'è mai!
Questo pensavano, ciascuno per conto proprio. Foglie secche e sottobosco, muschio. Il sole lampeggiava tra le foglie. Prima toccò a Zagor. Una flotta di piccoli aviogetti brucianti gli si schiantò sulla caviglia. Una saltello all'indietro e la stessa flotta eccola lì sulla nuca. Zagor solleva la mano per proteggersi e zap! anche quella diventa un brulicare di pigmei assassini. Calma, fermi. Zagor si guardò intorno e cercò di capire. Cosa gli stava succedendo: scartò l'ipotesi di una patologia personale improvvisa e scelse di dare la colpa a qualcosa al di fuori di lui. Nel frattempo Ruben aveva già dovuto scegliere un modo di procedere alternativo, perchè il semplice camminare gli si era rivelato troppo doloroso.
E così, i due vagavano senza apparente scopo che non fosse 'vagare in qualche modo', circospetti, spaventati, soli, vittime di quel reticolo quasi invisibile, osservati dagli animali muti che, saggi, scuotevano i loro testoni e le loro testoline, all'accorgersi di tanta ignoranza di fronte alla tecnologia. Alla tecnologia dei padroni.

Trascorsero così sette giorni sette notti. Si nutrirono di bacche e funghi. Presero la scossa circa 176 volte. Fatto sta che Ruben si ostinò a voler restituire un piccolo uccellino al suo nido, senza accorgersi che quello su cui si stava arrampicando era un albero di natale della crudeltà, con le luci colorate sostituite da nervosi cavi elettrici scoperti, che i padroni si divertivano a veder lampeggiare, ogni volta che un merlo o un tordo andavano a posarsi sui rami. Zap! e giù a ridere. Ruben, evidentemente più robusto, non diede loro questa soddisfazione: stringendo fra i denti il piccolino, afferrava i rami e sù con potenti colpi di reni. E scossa a non finire: ma ormai l'aveva messo in conto come uno degli orizzonti principali della sua nuova esistenza. Deposto l'uccellino nel nido, scoprì che era morto. Ringhiò contro il destino e lanciò il piccolo cadavere verso il sole. Indifferenti, stormi di moschini e passeri gli volteggiavano sulla testa.
Ma l'urlo di dolore produsse ben altri risultati. Le onde sonore, riverberandosi fra gli alberi, le chiome fronzute, le radici, i cespugli, i rovi, i greppi, le rocce ricoperte di licheni, le ciglia dei cervi, le code sontuose dei pavoni selvatici, il grufolare tranquillo dei cinghiali, il precipitare delle foglie, il cupo battere dei cuori delle talpe, gli sguardi fissi delle farfalle ed i dubbi dei sentieri, ecco, tramite tutto questo riuscirono a sfondare il muro del subsuono, trasformandosi in un Dobemolle statico, che invase in pochissimo tempo tutto lo spazio della valle.
Zagor non se ne sarebbe accorto, ma il Dobemolle entrò in sintonia con la tensione dei fili elettrici, che presero a vibrare, in maniera talmente evidente che Zagor ebbe paura di essere diventato miope. Invece no. Il bosco, reticolato di cavetti pericolosi, sfuocava nel movimento rapidissimo e continuo: e fatto l'occhio, Zagor finalmente vedeva il pericolo! Rapidissimo riuscì a sgusciare come una biscia fra i fili elettrici, evitando scosse e bruciature...in pochi minuti arrivò ad una strada, accolse il simpatico passaggio di un pensionato esperto di fossili, si fece accompagnare alla stazione, prese un autobus, scese e corse a casa, si lanciò sul divano e poi rotolò e saltellò fino al frigo, rintracciando cioccolata e formaggio piccante.
Ruben, nel frattempo coinvolto nel medesimo eccitante spettacolo sonoro, preferì correre in cima alla più alta collina e sbirciare il suo futuro nel lampeggiare di un treno che passava laggiù in fondo. Calcolò il punto d'incontro e poi corse giù rapido, discese senza fiato, e con un balzo che lo stupì salì al volo sull'ultimo vagone. In venti minuti era a casa.
Due giorni dopo i due si incontrarono e scrissero alcune canzoni nuove. Nessuno fece parola all'altro di ciò che gli era successo. Accennarono ridendo alcune faccende sulla scossa ('sai cosa è successo a mio cugino?'), ma poi scelsero di concentrarsi sulle canzoni nuove, stranamente modulate su un accordo fisso, Ladiesis.
Ancora oggi, chi attraversasse i boschi dell'Urgunz, potrebbe ascoltare, concentrandosi bene bene e con pazienza, il canto corale delle belve innocue, un flautato verso che, caso unico al mondo, tutte le specie animali del luogo sono in grado di produrre, modificando timbro ed altezza, ma fissi rispetto al tema. DOBE DOBE DOBE DOBE DOBE.



 

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L'articolo I Camillas - I CAMILLAS E LA TECNOLOGIA: Impegno cinque - La scossa di Redazione è apparso su Rockit.it il 2011-06-06 00:00:00

Tag: speciale

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