Catartica 2024: andare a sentire i Marlene Kuntz non è solo una ricerca del tempo perduto

C'è molto di più che il revival – anche se quello tira forte come sempre – nel live della band per i 30 anni del loro disco maggiormente di culto. C'è la solita esibizione impeccabile, i silenzi di Godano, gli scambi tra generazioni sotto palco. Il nostro racconto della data al Pedro di Padova

Tutte le foto dei Marlene in questo articolo sono di Michele Piazza
Tutte le foto dei Marlene in questo articolo sono di Michele Piazza

C'è una leggenda metropolitana nel mio quartiere a Roma secondo la quale un non meglio precisato giorno del 1995 suonarono, a distanza di 100 metri gli uni dagli altri, i Marlene Kuntz di fine tour di Catartica e i Tiromancino di presentazione ad Alone Alieno, i primi al CSOA SpazioKamino (per gli amici SpazioStufetta) e i secondi all'anfiteatro del parco Pietro Rosa. Oggi quanlcuno sostiene che i due concerti furono a distanza di diverse ore l'uno dall'altro, al tramonto i Tiromancino e in notturna i Marlene, o forse furono persino di due giorni vicini ma diversi, ma tutto questo comporterebbe prendere sul serio in partenza le entusiaste ma sbiadite memorie di quasi trent'anni fa di ragazzi con soprannomi come er Metal, er Cirio, er Guecho, er Satana, er Pechino, insomma, fate un po' voi.

Che nessuno quindi si offenda se ammetto candidamente che al concerto dei Marlene Kuntz oggi, in occasione dei trent'anni del loro disco "di culto" Catartica, non sono andato esattamente mosso dalla speranza di fare baldoria, quanto più con la speranza di rivivere, almeno in  testa mia, qualche ricordo di quel favoloso giorno che, come con le famose madeleine, riaccendesse almeno la memoria della felicità di un tempo oramai andato per sempre. Quasi mi sentivo in colpa di questa mia proustiana ricerca del tempo perduto, quando mi mi sono imbattuto nello spirito dello spettatore medio intento a chiedersi cinicamente “vediamo se il vecchio tiene ancora botta...” e “chissà se gli riesce ancora di alzare il bordello...”. +

La risposta, dopo averli visti live al Pedro di Padova, è si a entrambe le questioni. E non c'è neppure troppo da restare balbi o sorprendersi. Il rito della catarsi viene rispettato in ogni sua singola parte e non soltanto dal punto di vista strutturale della scaletta. C'è la camicia fotonica d'ordinanza con le maniche alzate (prima) e i polsini sbottonati (poi) sfoggiata da Cristiano Godano, la presentazione del gruppo (uno per uno), la presenza più (So-so-so) sonica che scenica di tutta la nuova formazione nonostante le clamorose annichilenti assenze di Luca e Gianluca e il silenzio “stocazzista” di pura matrice 90s tra una canzone e un'altra. Fa eccezione qualche sporadica asserzione pregna di una coolness, all'alba della nona canzone in scaletta, che fa pelo e contropelo all'inglesità di un Jarvis Cocker. “Grazie”, “Grazie mille”, “Non è colpa della chitarra, è colpa mia”, “Siamo qui, con la scusa dei trent'anni di Catartica per provare a festeggiare un po' quel che sono stati i Marlene Kuntz fino agli anni 2000”.

Poco altro. Non ce ne vogliano gli amanti del bum-cha abituati alla logorrea di tutti i loro pupilli ma questo poi in fondo non è solo un concerto: si tratta di un vero e proprio show che comprende una parte extra-musicale, fatta tanto di parole quanto di silenzi, tanto importante quanto la scaletta tratta dal loro primo album, pubblicato nel maggio del 1994, primo anche della neonata Consorzio Produttori Indipendenti. Quelli che – al CSO Pedro incredibilmente gremito, il concerto è sold out dall'ora di pranzo – si aspettavano un viaggio nel passato aggiuntivo più prossimo con qualche ripescaggio dal repertorio più recente, non restano delusi per la presenza di una Ti voglio dire, un filo inspiegabile se si pensa solo come  estratto dal disco en solo di Godano, ma spiegabilissima come omaggio a Luca Bergia al quale viene dedicata, assieme alla conclusiva (questa sul serio un filo forzata) Bellezza, estratta (un po' alla carlona) da Bianco Sporco, mentre veniamo graziati dell'immancabile e (per me) sempre più evitabilissima La canzone che scrivo per te.

Ma è nel “revival” che è indubbiamente maggiore tutta la gioia collettiva: L'agguato o Aurora (da Come di Sdegno, EP del 1998), Come stavamo ieri o Ape Regina creano sensibili boati fuori e dentro ciascuno dei presenti. Ineluttabile, verrebbe da dire, anche lei presente. I neon rossi intermittenti a fare da scenografia parlano chiaro: la patina nostalgica che avvolge tutto (come da iconografica copertina del disco festeggiato) vuole essere più la stessa dei live della metà '90s piuttosto che a quella di un evento propriamente rock per come siamo abituati a vederlo oggi nel suo tripudio di laser, fontane fredde e video installazioni. Ma come da adagio, non c'è niente non ci manca niente. Ci sono i singoli di video-musichiana memoria: Festa Mesta, Canzone di domani, Infinità, quella Sonica che all'epoca non riuscivo mai e vedere dal suo inizio.

C'è il clamoroso deja-vù dei CSI che coverizzano una delle loro canzoni più riuscite nel concerto acustico denominato In Quiete: quella Lieve che a risentirla ora, rammentare “Meglio del sentirsi forti nel labile”, sembra distante anni luce dal presente. C'è una manciata di anti-ballate cantate con il solito stile da anti-crooner: come un Nick Cave nato dal lato sbagliato del globo. Imprevedibilmente prevedibili, dai Marlene non volevamo nulla di più. C'è tempo per due bis, in uno dei quali M.K. crea letteralmente il devasto e mi riporta alla mente l'immagine di un selvaggio moshpit dove sono finito lungo per poi rialzarmi come nulla fosse, contento come una Pasqua di essere lì in quel istante.

Ecco, per banale o goffamente hippie che sia, mi piace pensare che quello fu uno dei rari momenti di felicità in cui mi sono sentito vivo nel posto giusto e al momento giusto, e che quel posto fosse il quartiere della mia adolescenza. Ma è appunto un ricordo epico e malinconico, incerto, assai probabilmente appannato e distorto da quella parte di vita fatta di “eccessi”, nella quale ho visto almeno una dozzina di volte i Kuntz dal vivo e ora non saprei sul serio dire dove. Con buona pace di tutte leggende metropolitane del mio quartiere alle quali nemmeno Godano in persona forse riuscirebbe a dare risposta.

POSTILLA 

L'idea iniziale di questo report era quella di confrontarmi con gli astanti. Una di quelle recesioni “gggiovani” in cui chiedere che ricordo avessero di Catartica, come ci fossero arrivati e cosa si aspettassero dalla serata. E così è stato: una strana raccolta di pensieri commossi (“È il disco che mi ha fatto sentire mio fratello che ora lavora in Australia”), sentiti (“Trovamelo tu oggi un gruppo che con trent'anni di musica alle spalle chiede 20€ per il biglietto”), appassionati (“Sarebbe bello se iniziassero il concerto con Festa Mesta: BOOOM!”), audaci (“Il mio pensiero è solo sulla camicia sudata di Godano”), geniali (“Cristiano Godano in un certo modo è il nostro Luigi Tenco”) tutti quanti però accomunati da una vena neanche troppo sottilmente malinconica (“Ho paura di sentire Nuotando nell'aria”), progressivamente volta all'irrisolto (“Vorrei che dedicasse Ape Regina alla mia ex-moglie”) con l'aumentare degli anni, fino allo spannung di chi candidamente mi dice “Come stavamo ieri credo che potrebbe essere la mia biografia”.

Però, trent'anni e rotti di concerti mi hanno insegnato che i concerti sono fatti di momenti imprevedibili e veramente nulla può essere programmato a tavolino. Così, nel bel mezzo di questo vortice che Schopenhauer scansate, mi sono ritrovato tra due fuochi: a destra il solito trentenne fuori corso e fuori sede con le Birkenstock già a marzo, sinuoso come un Hare Krishna sul nichilismo di 1° 2° 3°, probabilmente completamente ignaro che i Marlene Kuntz devono parte del loro nome ai Butthole Surfers e non a Bob Marley, a sinistra Thomas e Matteo, rispettivamente 12 e 13 anni, Matteo con i capelli di Metal Carter e una maglietta degli Assalti Frontali che, al netto di quel prevedibile deficit dell'attenzione tipico di tutta la sua generazione che lo spinge a mettersi a giocare a un videogioco (!?) sul telefonino un paio di volte, è perennemente attento, elettrico, curioso, corna alzate nei punti tesi, si gira verso il fratello in continuazione, commentando testi, pose e la bacchetta della batteria che si aggiunge ai plettri nello scarnificare le corde. “Page usava l'archetto, lui la bacchetta, figata!”. 13 anni. Godano a distanza sembra vedermi, sentire i miei pensieri, ed empaticamente dal palco dichiara: “Noi qui abbiamo tutti più di cinquantacinque anni e vedo tanti giovanissimi, ed è bellissimo”. È vero, è bellissimo.    

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L'articolo Catartica 2024: andare a sentire i Marlene Kuntz non è solo una ricerca del tempo perduto di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2024-03-25 13:31:00

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