Cesare Cremonini è rimasto uno dei pochi a saper unire l'Italia

In un Paese che fa fatica pure a trovare il CT della nazionale (a proposito, perché Ringhio sì e Cesare no?!), l'artista bolognese riesce a "significare" qualcosa per persone diverse per provenienza, background, generazione. Il nostro racconto del suo live allo stadio San Siro

Tutte le foto di Starfooker per Rockit
Tutte le foto di Starfooker per Rockit

Allo Stadio San Siro di Milano ci sono davvero più di 60.000 persone. E di questi tempi, fatti di finti sold out, biglietti a un euro pur di riempire, palchi portati sotto le tribune, è un dato che va scritto — perché non è affatto scontato. Il pubblico è vario, e fare una categorizzazione rapida è quasi impossibile: famiglie, coppie, uomini soli, ragazze in gruppo. Non c’è un’età prevalente, né una sfumatura che permetta uno studio sociologico netto. È un pubblico generico, sì, ma il fatto interessante è che ognuna di queste persone vede Cesare Cremonini a modo suo.

Eppure una serie di domande mi rimbalzano in testa.Prima di tutto: con questa temperatura, è davvero possibile reggere un concerto di oltre due ore in uno stadio con più di 60.000 persone?

Poi: in un senso più ampio, ha ancora senso — in tempi complessi come questi — credere che “dividere” non sia, paradossalmente, il modo migliore per “unire”?
E infine: nell’epoca dei music creator e dei rapper da classifica FIMI che ogni settimana macinano record su record, collezionando dischi di plastica, ottone, oro e chissà quale altro materiale, come fa una persona con poco più di quarant’anni a combattere, comunicare, trovare il suo posto popolare in questo mondo?

 

Recentemente mi sono imbattuto in un video in cui Cremonini è ospite da Gianluca Gazzoli, e non sono riuscito a smettere di guardarlo. Mi ha colpito la quantità e la varietà dei commenti: si passa da quelli più cinici e ironici (ma affettuosi), a quelli sinceri, puri, speranzosi. Ho cliccato, riguardato, cercato di capire.

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Cremonini racconta di aver scritto Marmellata #25 perché era ancora sveglio alle quattro del mattino: in casa c’era odore d’incenso, e nell’aria si sentiva Bologna. Lo dice con i suoi occhiali da sole inconfondibili e la chitarra in mano. C’è molto della sua iconografia in quel video: le occhiaie coperte, la voce — usata con intelligenza —, e una passione reale, concreta, per la musica e per gli oggetti che la rendono possibile.

Poi c’è questa storia delle "quattro del mattino, Bologna, l’incenso" una storia che ognuno può immaginare a modo proprio, dare la sfumatura che preferisce. Una storia in cui credere, perché piena di micro-dettagli che restano nella testa. Cremonini immagina, e ti fa immaginare, con poche parole, un paio d’occhiali scuri e una chitarra tra le mani.

È curioso che, in un mondo così rapido e iper-prodotto fatto di music creator, Cremonini riesca a catalizzare l’attenzione anche sui social, pur usando il mezzo in modo apparentemente controintuitivo per i tempi: nessuna pubblicazione sofisticata, tutto molto naturale, a volte persino sfocato, sbieco. E poi, tantissimi commenti, da persone diversissime. Meme, interpretazioni. Insomma: il personaggio-Cremonini funziona. Ma funziona per consapevolezza o per artigianalità genuina?

Non ho mai pensato che piacere a tutti sia necessariamente una cosa positiva. Ho sempre preferito l’idea di “distinguersi per unire davvero”. Perché le critiche fanno bene, ma soprattutto perché la consapevolezza di sapere chi sei è lo strumento migliore per lasciarti contaminare e crescere davvero. È una questione lieve, probabilmente inutile. Ma importante.

 

Allo stadio, intanto, è un tripudio. “Dicono di me” e “PadreMadre” scaldano l’animo del pubblico e fanno partire un karaoke a cielo aperto. Dopo dieci minuti dall’inizio dello show, con un caldo sfiancante aggravato da un meteorite di pioggia che non ha portato nulla di buono a livello climatico, mi domando davvero: ce la farà il pubblico a resistere per più di due ore?

Cremonini, dal canto suo, sul palco ci sa stare da sempre. Fin da quando era poco più che un ragazzino, la sua presenza fisica su un palco — specie in un concerto — è stata un valore aggiunto. Studia tutto: cosa fa, come lo fa.
E nel modo in cui si rivolge al pubblico, è chiaro che ha capito il segreto di questi eventi mastodontici: ricondurre tutto a una dimensione più piccola, quasi da club, più intima. È lontano da te fisicamente, ma in qualche modo sembra lì, a pochi metri. 

Me ne accorgo con l’accoppiata “Ora che non ho più te” e “La nuova stella di Broadway”: sono brani che ti fanno dimenticare di essere in uno stadio, e ti portano in quei club da 300 o 400 persone dove si suda tanto e si ascolta musica alternativa per dovere di rappresentanza.

Eppure, lo show è pieno di stimoli: visual sempre nuovi, fuochi d’artificio, fumo, telecamere, ballerini, coreografie — e addirittura due ospiti. Prima Elisa, delicata e puntuale; poi Luca Carboni, concreto ed emotivo. Insomma, uno spettacolo potente, con tratti internazionali, ma con una distanza tra il protagonista e le 60.000 anime presenti che non sembra affatto incolmabile. Il pubblico, dal canto suo, ha modo di stringersi in abbracci sinceri, alzarsi per balli di gruppo e proseguire un karaoke a squarciagola, come se fossimo, in fondo, in uno di quei bar di provincia un po’ avvinazzati, di sabato sera, in compagnia.

Ci sono tante micro-storie e contesti che rendono tutto molto terreno, quotidiano, e che intrecciano persone lontane tra loro, con gusti diversi e visioni della vita distinte. C’è chi era partito prevenuto, chi non vedeva l’ora, chi stava morendo di caldo ma — quando parte 50 Special — si lascia andare. C’è chi canta con la figlia di dieci anni come se fosse un adolescente tra amici.

Insomma, anche con la cassa dritta del remix di Nonostante tutto, le persone trovano comunque un modo per stare bene insieme — anche se, forse, non tutti hanno voglia di andare in un club a ballare il prossimo venerdì.

Cesare Cremonini ripete spesso che questo è uno show che lo riporta in determinati luoghi — luoghi che, probabilmente, ha attraversato da solo, ma dove oggi vuole tornare in compagnia, insieme a tutti noi. Una frase che, come accennato in precedenza, lascia spazio a interpretazioni, deduzioni, domande:
Chissà cosa faceva quando era lì? Chissà cosa farei io, se andassi in quel posto? E se davvero ci andassero 60.000 persone insieme?

La sua comunicazione, e la sua persona, ruotano attorno a queste immagini che aprono Possibili scenari. È un leitmotiv coerente con ciò che percepiamo di lui da anni, e che ora, finalmente, tocchiamo con mano dentro uno stadio.

Cremonini può essere tutto. Il sex symbol capace di spodestare Damiano David. Il compagno di serate borderline che affida la co-produzione di un brano al produttore Not Waving. L’amico con cui andare allo stadio a vedere il Bologna in Europa. Il fidanzato da portare a cena con gli amici. Può passare ore e ore davanti ai sintetizzatori, a giocare, studiare, toccare la musica, ma anche cantare al karaoke in un bar appena fuori dal centro, bevendo due birre industriali che di solito non prende nessuno — ma che, alla fine, sono buone.

Cremonini può essere al Covo Club (storico locale alternative rock da 300 persone, ndr), dove capita spesso di incontrarlo, ma anche alla Settimana della Moda, in uno stadio da protagonista, oppure sugli spalti — a soffrire non solo i postumi di una serata, ma anche le difese traballanti della Serie A. Cremonini da afterparty e da camminata all’alba sulla spiaggia. Cremonini star internazionale, ma anche ragazzo in Vespa sui colli, cantato in quei ristoranti tutti bianchi dove sono tutti vestiti con la camicia — e, lo devo dire, con mocassini orrendi — e a un certo punto sventolano i tovaglioli.

Ora, in questo gigantesco stadio che, in poco più di due ore e 27 canzoni, è diventato un luogo al tempo stesso intimo e grandioso — tra mille effetti speciali e un rollercoaster di decibel, pensieri e sensazioni — potete pure chiedere a Cesare Cremonini di diventare il CT della nazionale, capace di unire davvero, ma non chiedetegli di fare il segretario di un partito di centrosinistra italiano.

Lì, davvero, non ce la farebbe nemmeno lui (forse).

 

 



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L'articolo Cesare Cremonini è rimasto uno dei pochi a saper unire l'Italia di Teo Filippo Cremonini è apparso su Rockit.it il 2025-06-16 11:30:00

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