Perché Charlie Watts ha cambiato per sempre il suono della batteria

Charlie Watts, membro dei Rolling Stones morto nelle scorse ore, è stato un modello per ogni batterista del mondo. Ma cosa voleva dire provare a suonare come lui? Che caratteristiche aveva il suo suono? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Astori, che da una vita si confronta con la sua musica

Charlie Watts
Charlie Watts

A vederlo, sembrava quasi fuori posto, con davanti due indemoniati come Keith Richards e Mick Jagger. Lui, sempre così impeccabile, con quello sguardo beffardo e un sorriso appena accennato che gli compariva sul volto. Un dirigente bancario magari, un avvocato, ma una rockstar? E invece Charlie Watts, scomparso ieri all’età di 80 anni, era il cuore pulsante della più grande rock band di tutti i tempi, i Rolling Stones. Precisione metronomica, rullata letale, classe da vendere: Charlie Watts era e rimane un’icona, alla pari dei suoi scalmanati compagni di band, la struttura solida e inscalfibile su cui gli Stones hanno potuto costruire la loro leggenda. 

Charlie Watts
Charlie Watts

“Di Charlie adoro il fatto che avesse un sound molto istintivo e potente nell'approccio al groove e che in realtà fosse una persona assolutamente calma e a cui non interessava apparire per niente”. A parlare è Andrea Astori, batterista degli Sticky Fingers, tra le più apprezzate cover band degli Stones in Italia. Quello delle band tributo è un concetto che a tanti puristi potrebbe far storcere il naso, ma chi meglio di uno come Andrea, che si confronta quotidianamente con il lascito musicale di un batterista così importante, può dare un quadro di chi fosse e, soprattutto, come suonasse Charlie Watts? “Suonando da anni le sue parti, alla fine scopri che ci vuole una disciplina molto forte nel mantenere per due ore quel tipo di suono, con il backbeat e quegli istinti nei passaggi. Ma quando poi senti il risultato finale con tutta la band, non puoi non riempirti di soddisfazione”.

Suonare esattamente come Charlie è praticamente impossibile, semplicemente perché è quasi tutto istinto di un linguaggio individuale, che ha saputo utilizzare solamente lui”, continua Andrea. “Quando mi sono approcciato alle sue parti all'inizio, sbagliavo tutto senza capire il perché. Solo quando ho capito che ogni suo singolo colpo non deve essere sottovalutato, in quanto parte integrante dei riff, delle armonie, delle dinamiche, allora il suo linguaggio è diventato più chiaro e il sound della band ha preso corpo praticamente subito, con tutte le parti del puzzle che si sono messe al posto giusto. Per questo è così fondamentale ed è normale che sia così tanto ammirato da tutti”.

Gli Sticky Fingers
Gli Sticky Fingers

Tra i tanti, incredibili brani a cui Watts ha dato il suo fondamentale contributo, Andrea ha un suo preferito da suonare dal vivo: “Se devo proprio sceglierne una dico Sympathy for the Devil nella versione live di Get Yer Ya Ya's Out (sulla cui copertina compare proprio Charlie Watts, ndr), che riproduciamo anche noi nei nostri concerti. Che bomba, Charlie in quella versione riesce a spingere un groove aggressivo e impastare allo stesso tempo tutte le improvvisazioni che girano intorno a lui con dinamiche pazzesche; una meraviglia di istinti e di intesa”.

Tra quelli invece più difficili da rendere a pieno Andrea parla del primo periodo degli Stones, con i primi album degli ’60, ancora con una fortissima matrice blues. “Lì le registrazioni delle tracce di batteria sono più sporche e quindi difficili da esaminare nel dettaglio. Per esempio, in 19th Nervous Breakdown Charlie gira sempre in equilibrio tra swing e rock, e se non sei sempre concentrato rischi di appoggiarti su una delle due parti, rallentando o inquadrando troppo il pezzo”.

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E nella sterminata discografia degli Stones, qual è il disco in cui c’è il miglior Charlie Watts? “È una domanda molto difficile a cui rispondere, perché molto soggettiva”, spiega Andrea. “Io direi Exile on Main Street perché il suono è molto diretto, questa cosa rende speciale il loro modo di suonare all'epoca. E poi ci sono dei pezzi davvero meravigliosi lì dentro, come Tumblin Dice, Shine a Light, Loving Cup, Happy… ma anche tutti gli altri alla fine”.

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L'articolo Perché Charlie Watts ha cambiato per sempre il suono della batteria di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2021-08-25 15:29:00

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