Cigno: la fine di ogni inizio

Dopo il crepuscolo di "Morte & Pianto Rituale", ecco la vita (con tutte le sue ombre) di "Nada! Nada! Nada!". Il secondo disco di Diego Cignitti è un'assordante conferma: abbiamo trovato un artista che sa raccontare l'infamità del presente. E che in 12 mesi si è trasformato in un ensemble rock

Cigno, foto di Matteo Consolazione
Cigno, foto di Matteo Consolazione

Quando nel 1988 i Carcass se ne uscirono con Reek Of Putrefaction (manco a dirlo per la Earache Records), la prima esplicita affermazione del chitarrista Bill Steer compiutamente fu: “Spero che i Carcass riescano a fare qualcosa al di fuori della norma del death metal. Per esempio, oggi, molti gruppi dichiarano d'essere influenzati dal cinema horror. Nessuno in questo gruppo è più dentro questo genere di cose. Forse lo eravamo quando eravamo più giovani, ma siamo tutti cresciuti da allora. Personalmente preferisco starmene a casa a leggere libri di filosofia, di medicina forense o la biografia di un serial killer, più che guardare la televisione o un film”.

Un manifesto, questo, netto, una dichiarazione di intenti che in certa misura preannunciava la sinfonia del morboso contenuta tra i solchi del debutto in questione e dei dischi che gli succederanno. Allo stesso modo Cigno, alter ego del romano Diego Cignitti, ha diramato nei giorni passati un manifesto, un “papello” di dodici pagine, capace di darci una visione del suo vagare tra le pieghe dell'insano e del guasto della società contemporanea. Che si discosta e non poco dal indie-game imperante.

Che cosa ne vien fuori? A una lettura  superficiale sembra di leggere l'intervista di Pier Vittorio Tondelli ai CCCP del 1984, tra le prime e forse la più chiara ed esplicita di tutte, scissa tra filosovietismo (“Siamo filosovietici e non filorussi”), Emilia e Turchia vista da Berlino, ma basta rileggerla una seconda e una terza volta per immergersi ancora di più in una visionarietà che più di Giolindo Ferretti pare abbracciare Giordano Bruno o quanto meno quello interpretato da Gian Maria Volonté nel film del 1973 diretto da Giuliano Montaldo.

Come il filosofo nolano, Cigno parla di pluralità di mondi, di libero pensiero, di ribellione ai soprusi di ogni potente, di Dio, di uomini e di droga, sia in senso stretto che in senso lato; citando Cucchi, Mazzini e Nick Cave, non eludendo passi della Bibbia e il fuoco dell'inquisizione, appare ugualmente eretico e anarchico come Bruno ma sono già certo, mentre scrivo, che scavando ancora più emergerebbero altre e altre chiavi di lettura. “C'è sicuramente un processo di decostruzione della persona", mi dice il diretto interessato alla richiesta di delucidazioni, "rinuncia all'entusiasmo, rinuncia alla speranza. Ho avuto modo di approfondire realtà extra-musicali come il teatro surrealista di Ettore Petrolini, e personaggi rivoluzionari come Thomas Müntzer ma anche e soprattutto la cultura rave. Ho trovato a volte conforto nella pratica dell'esicasmo, nella mortificazione dei sensi”.

Classe 1992, dopo uno stratosferico debutto autoprodotto (Morte & Pianto Rituale) che riprende il titolo dal libro del 1958 dell’antropologo Ernesto de Martino, e vede il ruolo del lamento funebre come strumento di catarsi, Cigno torna con un secondo disco autoprodotto (dal titolo un pelo Death In June: non conformi pure loro) distribuito stavolta in modo meno carbonaro da Audioglobe in CD e Dirt Tapes in MC: si chiama Nada! Nada! Nada!. Come suona? “Ho freddo aiutami / Timore di dio / Fa freddo aiutami / Tra i morti di dio / Ho freddo aiutami / Timore di dio / Diceva un monaco / A cui furono strappati gli occhi / Sopra una nave / Alzino il canale / “Venghino a vedere” / La morte culturale / Sopra una nave  / Tirino le pietre / Nel giorno del signore”.

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Musica e voce di Cigno cominciano a diffondersi, le note di Timore di Dio penetrano l'aria circostante e il pensiero ritorna immediatamente al canto del cigno dei C.S.I., quel doppio LP, La Terra La Guerra Una Questione Privata, che dimostrò al mondo intero la summa e la forza di un gruppo spigoloso e pericoloso, ancor più di quanto furono gli stessi CCCP e dalle cui ceneri nascevano, in quanto autori di un sorprendente primo posto in classifica nel 1997 con Tabula Rasa Elettrificata. Oggi, ascoltando quella che è forse la prima vera uscita discografica di Cigno, per come il mercato impone almeno, si può vedere e comprendere meglio quel che è stato, si vede e si comprende come Morte & Pianto Rituale può esser considerato a ragion veduta il primo tassello di un progetto in perpetuo divenire le cui coordinate si muovono (ancora...) tra il Bestiario di Vinicio Capossela, riflessioni socio-politico-culturali buone per I Dischi del Mulo (Disciplinatha, Wolfango, Almamegretta... ya know worra mean) e le sperimentazioni di Iosonouncane ma la cui personalità del singolo, ossia di Cignitti, aumenta a vista d'occhio.

Il rischio “Era meglio il demo!” è dietro l'angolo ma solo perché destinato a possibili grandi cose e per un pubblico sempre più vasto. Molti passaggi, scelte e sonorità in Nada! Nada! Nada! sono familiari, però con una differenza di fondo sostanziale. Nel debutto si avvertiva un senso di fine, una sottesa ombra che faceva supporre che Cigno fosse un progetto unico (proprio nel senso numerico di uno) nel suo genere, il legame di Nada! Nada! Nada! invece lascia il posto alla vita, a vari possibili scenari futuri, che comprendono un caleidoscopio di contenuti e soluzioni musicali. Quali? Difficile da dirsi oggidì come non è già semplice l'ascolto di questo lavoro.

Cigno, foto di Ludovico Sulpizii
Cigno, foto di Ludovico Sulpizii

Ma Cigno si è trasformato in soli dodici mesi in un ensemble rock (“Dal vivo saremo in sette: ho la fortuna di avere con me alchimisti con il fuoco al culo. Ci consumeremo, spariremo, diverremo musica. Voglio siano orge dionisiache rinnovate. Porteremo sul palco maschere e attrezzi industriali, ma anche strumenti etnici turchi. Il concerto sarà una persecuzione, un assedio. Il palco diverrà il nostro patibolo”) che esiste di e nella sovrabbondanza, la musica e le parole si scagliano come una valanga contro l'ascoltatore e calpestano il bersaglio con la loro forza, senza bisogno di fittizie impalcature strumentali o, peggio, sterili slogan da stadio ma una concreta presa di posizione nei confronti del quotidiano.

Timore Di Dio è il collegamento con il ricordo che avevamo di Morte & Pianto Rituale, ma lascia vedere nel tribalismo rituale che cerca di farsi strada in maniera incisiva la vita di oggi; Il Condannato Viene Scortato Fino al Luogo di Esecuzione è una cupa marcia che riporta agli accadimenti del Bruno di cui sopra in quel di Campo De Fiori nel febbraio del 1600, ma in realtà parla di lavoro; Carnaio è una massa di corpi morenti che si mescolano come serpi, con un tessuto sonoro duro e cattivo; Y En El Monte! è uno sbattimento mediterraneo di emozioni spazio-temporali sulla vita di un Carmelitano Scalzo del Cinquecento.

E ancora Antéchrist è un atto di rivolta in salsa rave che può piacere anche a chi ascolta Ebm; Pax rassicura tutti come a dire che l'ombra dei CSI di Fuochi Nella Notte c'è ancora e lotta insieme a noi; Ogochukwu balla sui ritmi e parla di immigrazione come Pierpaolo Capovilla tenta oramai senza risultati da anni;  A Frate Dolcino Vengon Amputati Naso e Pene è una canzone “industrial” sugli eretici e trapana la testa; Cesure &Torture - Stefano Cucchi tra le Fiamme stordisce fin dal titolo come una serie di cazzotti alla bocca e allo stomaco; Lamentazioni Mediterranee chiude il lavoro e sembra, sospesa, invitare ad aspettare ogni possibile continuazione che ne scaturirà.

Cigno è, allo stato attuale, uno dei momenti più originali che l'Italia musicale abbia prodotto negli ultimi dieci anni. Da seguire al passo e mandare a memoria in ogni singola palpitazione, parola e nota. 

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L'articolo Cigno: la fine di ogni inizio di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2023-03-17 09:25:00

Tag: album

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