Claudia Pajewski meets Motta

Alcune magliette appallottolate nello zaino e un Pigneto che non esiste più, proprio come i nostri vent'anni: la storia dietro alla copertina del primo disco solista di Motta, raccontata dall'autrice dello scatto

© Claudia Pajewski
© Claudia Pajewski

Dentro ai tuoi occhi è la rubrica di Rockit che propone uno scatto dei maggiori fotografi della musica italiana, raccontato dalla prospettiva dell'autore. Protagonista di oggi è Claudia Pajewskiche ha scelto di condividere la storia dietro alla foto scattata per la cover del disco La fine dei vent'anni di Motta.

Roma, novembre 2015, quartiere Pigneto, interno di un appartamento

Avevo già collaborato con Francesco (Motta, ndr) per Bestie dei Criminal Jokers. Da lì era nata una fratellanza, o sorellanza a seconda della prospettiva, che resiste ancora oggi nonostante i colpi di vento e i giri di vite.

In quegli anni, il Pigneto era la base della cosiddetta scena indie. Sulle ceneri del Circolo degli Artisti proliferava una comunità stanziale di nuova musica italiana, ignorata dalle major. In locali come il Fanfulla o il Trenta Formiche, Calcutta suonava davanti a venti persone. Sulla pedonale del quartiere non c’erano ancora i buttadentro dei bistrot, né l’antisommossa a fissare la tua grappa barrique. Sono passati pochi anni, ma la gentrificazione ha corso molto più veloce di noi.

Francesco abitava all’ultimo piano di un piccolo edificio a via Ettore Giovenale: più che una casa, un’incantevole scatola di cartone. Un giorno, per tinteggiare la camera da letto era venuto giù l’intonaco dell’intera stanza. In terrazzo c’era una bandiera dei pirati, consumata dal sole e dai via vai di gente nei weekend. Valerio Bulla, Davide di Bomba Dischi, Truppi, Francesco Pellegrini, Andrea Ruggiero sono solo alcuni dei volti che ricordo legati a pranzi della domenica che finivano all’alba del giorno dopo.

Sulla copertina de La fine dei vent’anni avevamo iniziato a ragionare mesi prima. Le tracce, potentissime, prodotte da Riccardo Sinigallia, erano il punto di partenza. La conclusione, chiara dall’inizio: primo piano frontale, bianco e nero. La sua faccia storta, che sa di Factory e anni Settanta, nella sua imperfezione era perfetta per il primo disco da solista. La deadline oggi per domani, infine, ha velocizzato tutto.

Si presenta con una decina di t-shirt improbabili appallottolate nello zaino. A casa avevo un punto luce, un diffusore beauty e uno stativo. Spostiamo specchio e divano per avere un muro bianco e posizionare il flash. Volevo che l’ombra e la luce fossero lette da destra a sinistra come un’apertura narrativa, perché la fine dei vent’anni era per lui un grandioso nuovo inizio.

Quando i progetti crescono, i margini di improvvisazione si assottigliano, l’aspettativa sposta l’asse sulla pianificazione e sulla complessità, rischiando di vaporizzare il potenziale creativo dell’errore. Non sono sicura mi manchi quel periodo, onestamente credo di no. Ma questa foto, per me, è nostalgia di un approccio punk che raramente riesco a ritrovare nel lavoro. Guardandola oggi, mi emoziono per un dettaglio irrilevante: il nero scolorito della maglietta da cinque euro di H&M.

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L'articolo Claudia Pajewski meets Motta di Giulia Callino è apparso su Rockit.it il 2020-11-19 11:51:00

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