Inafferrabili C'mon Tigre

“Scenario” è il terzo disco del misterioso duo/collettivo che fonde jazz, psichedelica, blues, afrobeat ed elettronica. La prova che quando un progetto ha uno stile e un’anima tutta sua, può cambiare formazione, anno, album, ma resta grande. Anzi, evolve. Qui spieghiamo come, track by track

C'mon Tigre - foto di Margherita Caprilli
C'mon Tigre - foto di Margherita Caprilli

A volte bastano pochi secondi: è sufficiente un passaggio, un groove o un frammento qualsiasi di un brano per renderci conto inequivocabilmente dell’artista o del gruppo che ci troviamo di fronte. Il raggiungimento di questo status identitario, della costruzione e consolidazione della propria voce, è un traguardo di cui sentiamo parlare spesso in ambito artistico, e che viene associato ai concetti di maturità e affermazione di un artista; una firma, un'impronta, un trademark; una voce che dal coro cattura la nostra attenzione.

C'mon Tigre hanno dimostrato di essere proprio una di queste realtà. Il progetto nasce come un duo (che ci tiene a rimanere anonimo, ndr) e si è trasformato negli anni in un vero e proprio collettivo con più di trenta musicisti, che a rotazione contribuiscono alla composizione delle tracce e alla loro performance live. Con Scenario è arrivato al suo terzo disco, che non è altro che la naturale continuazione del lavoro fatto negli altri due, segno di una crescita costante, espansiva ed inclusiva.

Cover di
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Con C'mon Tigre (l’album d’esordio uscito nel 2014) il collettivo inizia sin da subito a delineare i contorni di quello che sarà il loro sound già distintivo: un blend di jazz, blues, psichedelia e costruzioni ritmiche, che spesso trovano la loro ispirazione nella musica nordafricana di artisti come Anouar Brahem o Mulatu Astatke. Il taglio malinconico e misterioso, sensualmente noir, già molto vario nella tipologia di strumenti coinvolti, vede il proprio sound arricchirsi con un maggiore uso di elettronica, effetti e drum machine nel secondo album, Racines, uscito nel 2019 e accompagnato da un album fotografico di 80 pagine.

Anche Scenario, così come il suo predecessore, sarà affiancato da un libro di 64 pagine impreziosito dalle foto di Paolo Pellegrin, fotoreporter dell’agenzia Magnum. Questa non è una scelta puramente commerciale, bensì un testamento di quello che è l’impegno che il collettivo mette nel raccontare una storia con ciascuno dei loro brani; un punto che hanno menzionato spesso quando intervistati in passato sugli obiettivi della loro musica.

Questo intento trova un’ulteriore conferma nei videoclip che spesso accompagnano alcune delle tracce della band: mai casuali, banali o token audio-video per spingere la promozione dell’album o del singolo, ma veri e propri companion-piece. Come, ad esempio, quello di Twist Into Any Shape (ad opera di Donato Sansone), lanciato in anteprima esclusiva su NOWNESS in concomitanza con l’uscita del primo singolo di Scenario.

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Il brano segue la opener dell’album, Deserving my Devotion: una breve traccia strumentale fatta di bassi cavernosi e corde pizzicate che creano una tensione crescente ed evocativa. E trova la propria release in Twist Into Any Shape, appunto: una danza scatenata fatta di afro-beat, musica elettronica e liberazione; una sorta di risposta alla lunga reclusione forzata della pandemia e caratterizzata da un taglio celebrativo, che ritroviamo anche nel secondo singolo pubblicato dal gruppo: Kids are Electric.

Oltre ad habitué di C'mon Tigre come Beppe Scardino, Mirko Frattini e Pasquale Mirra, Kids are Electric vede la partecipazione di Gianluca Petrella (compositore, musicista e pilastro del jazz contemporaneo italiano). Sfrutta l’energia del brano che lo ha preceduto e, sospinto da una percussività molto più prominente rispetto al solito, detta la stesura di quello che loro stessi definiscono "il manifesto per una rivoluzione elettrica": "Una rivoluzione in cui, al contrario, le energie attraggono elementi diversi, tipo in un gigantesco campo elettromagnetico. Un futuro modello di forze in mano alle nuove generazioni; la diversità come risorsa primaria", dicono. Una rivoluzione che, in pieno stile C'mon Tigre, è inclusiva, globale, multirazziale, elettrica ed ebulliente. Uno sconvolgimento che attinge liberamente da continenti e realtà completamente diverse tra loro: dai ritmi del forrò brasiliano a sonorità africane, amalgamando il tutto con una sana dose di elettronica.

Il messaggio politico qua non è in primo piano, ma resta comunque inequivocabile: una novità per loro, che fino ad adesso non si erano mai sbilanciati più di tanto in materia e che nel corso del disco lo faranno di nuovo, segnando così un’espansione non soltanto sonora, ma anche tematica. In Scenario non ci si limita più soltanto a raccontare una storia utilizzando il vocabolario jazz, blues e psichedelico della band – come in tracce più canoniche come Supernatural e Automatic Ctrl –, ma anche a dire qualcosa, a rilasciare uno statement.

Proprio come accade con No One You Know, con la partecipazione di Xenia Rubinos. La voce della cantante e polistrumentista di origini portoricane e cubane serpeggia leggera su un groove di chitarra tanto semplice quanto infettivo e ci racconta della paura di ciò che non si conosce; delle sensazioni di alienazione e isolamento che questa paura può causare; di come ci si ritrovi "stranieri all’interno di un mondo che è di tutti, e in movimento quando tutto il resto sembra fermarsi". Xenia ci accompagna per tutta la durata del brano, alternandosi ai cori – che, come di consueto per i C’mon Tigre, hanno una valenza sia ritmica che melodica – e agli ottoni – che contribuiscono alle atmosfere amare del brano.

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Burning Down, traccia numero sette del disco, rappresenta una cesura, un taglio netto: 51 secondi abrasivi, violenti, distruttivi; quasi a voler preparare il terreno per Migrants, il brano in assoluto più evocativo del disco. Una suite strumentale interamente ispirata al lavoro di reportage di Paolo Pellegrin, che i migranti del titolo li ha seguiti più volte in carriera, e ne racconta i bellissimi, terribili, struggenti scatti.

Lo fa con pazienza, con una lunga, malinconica introduzione guidata da un canto sirenico accompagnato da qualche nota sommessa, prima dell’arrivo della batteria e di un synth che per un attimo sembrano in grado di scuoterci da questa desolazione. Si sentono delle voci in lontananza, anche. Presto torniamo però in un silenzio da brivido, e al mix si aggiungono il rumore dell’acqua che si muove attorno a noi e il rumore di un oggetto che colpisce un corpo metallico, come quello di una imbarcazione: un brano che dice molto senza aver bisogno di pronunciare nemmeno una parola.

Il disco si chiude con altre due collaborazioni: con il rapper statunitense Mick Jenkins in Flowers in My Spoon e con Colin Stetson in Sleeping Beauties. La prima, una sorta di inno al rallentamento dei ritmi che la vita odierna non fa altro che esasperare, è una collezione di interventi notevoli: dal delizioso lavoro di punteggiatura del solito Pasquale Mirra allo xylofono, al trombone di Petrella che si intreccia e duetta col sax di Scardino, passando dai versi della voce grave di Mick Jenkins. Un ritorno graditissimo dopo quello di Racines.

Sleeping Beauties, ultima traccia dell’album, vanta la collaborazione di Colin Stetson, sassofonista jazz e d’avanguardia americano, a cui dobbiamo il contributo di tutte le parti di sax, sia melodiche che percussive. Il brano parte con una marcata anima percussiva per poi sviluppare una componente melodica da desert rock alla Tinariwen, che viene presto assorbita dal groove martellante e dalle linee di sax, ispirate alla musica elettronica da rave a cassa dritta: una nuova impennata dei bpm a seguito di una sezione centrale più atmosferica e malinconica.

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Ho scritto due pagine intere per parlare di quelle che sono le novità di questo disco rispetto a quelli che lo hanno preceduto e sicuramente si potrebbe scrivere pure di più. Eppure, nonostante tutte queste innovazioni, non c’è un passaggio del disco in cui non sia chiara l’impronta del collettivo. In cui non sia possibile ritrovare parte delle atmosfere mediterranee di brani come Federation Tunisienne de Football (dal primo album); e questo dovrebbe essere ancora più improbabile, se si considera la quantità di musicisti di varia estrazione che hanno preso parte al progetto dalla sua genesi ad oggi.

I C’mon Tigre, però, sconfiggono il calcolo delle probabilità e al netto dell’enorme evoluzione degli ultimi otto anni, non hanno perso il proprio stile, il proprio nucleo sonoro ed atmosferico. Ma hanno mantenuto quell'identità che, proprio come l’iconica tigre in copertina, cambia anno, cambia album, cambia formazione, ma nell'anima non cambia mai.

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L'articolo Inafferrabili C'mon Tigre di ◄Mãtteo Cioni è apparso su Rockit.it il 2022-03-25 12:39:00

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