Come una sola generazione ha ucciso l'industria musicale

Sembra una catastrofe, ma non è così

07/07/2014 - 14:11 Scritto da Letizia Bognanni

"L'industria musicale è morta"

Bella scoperta, ma la domanda è: si possono saltare a pié pari pianti greci, accuse e processi, catastrofismi, si-stava-meglio-quando-si-stava-peggio e il-rock-è-morto, e tentare un'analisi lucida, e perfino con spiragli di ottimismo, dell'attuale situazione?
A quanto pare sì, qualcuno ci ha provato, arrivando alle seguenti conclusioni: la risposta alla domanda come ha fatto l'industria musicale tradizionale a morire così velocemente e in malo modo? è da cercarsi fra i Millennials (o nativi digitali che dir si voglia): sono loro ad averla uccisa prendendo il controllo dei fattori più importanti alla base di ogni tipo di businness, ossia la domanda e l'offerta (e non è detto che sia un male).

La domanda

Mentre la vecchia industria musicale “si aggrappa ad ogni appiglio nel tentativo di salvare il profitto dai resti di un modello di business distrutto”, scrive Thomas Honeyman nella sua analisi, “i millennials sono emersi come consumatori dominanti. Cosa ancora più importante, controllano il mercato emergente più promettente per l'industria musicale: quello dei dispositivi mobili. Usano app di musica, media e intrattenimento il 75% in più rispetto a qualsiasi altra fascia di età."
In poche parole, i millennials sono i maggiori consumatori di musica, ma soprattutto sono quelli che ne parlano di più. Che il consumo sia importante è una cosa ovvia, ma perché è così importante “condividere” i propri ascolti?
La vecchia industria musicale aveva il suo metro di giudizio per il successo di un artista: le vendite degli album.

Per anni le vendite sono calate, e la diffusione dei singoli e dei servizi di streaming ha accelerato la tendenza. Nel corso della transizione verso l'economia della musica digitale sono emersi nuovi modi di misurare il successo, ed è nata una nuova generazione di artisti che prospera più sull'attenzione che suscita che su quanta musica vende. L'attenzione è diventata preziosa quanto l'acquisto, perché porta a festival, concerti affollati, vendita di merchandising e altre forme di guadagno.
Anche i brand se ne sono accorti. Marchi come Coca Cola o Red Bull quest'anno spenderanno più di un miliardo di dollari per sponsorizzare eventi musicali, festival e tournée, ovvero per instaurare un legame col cliente e far crescere il valore del marchio tra i nativi digitali.
Nel frattempo, i dieci artisti di musica elettronica più ascoltati lo scorso anno hanno guadagnato in tutto 240 milioni di dollari – meno del 20% di quanto i brand avranno speso alla fine dell'anno per catturare l'attenzione dei millennials.
Quello che hanno capito i brand è che la musica è una parte importante dell'identità dei ragazzi. È più che intrattenimento. La musica che ascoltano può avere la stessa importanza del modo in cui si vestono e influenzare la scelta delle amicizie. Andare a festival e concerti è un'espressione di identità. E i brand sanno che, se riescono a identificarsi con un dj come Skrillex e con i suoi fan, otterranno molto di più di una fugace attenzione da parte del consumatore. Il brand diventerà parte del lifestyle del fan.
Il risultato finale è che l'industria musicale e i grandi brand stanno entrambi inseguendo una nuova generazione di artisti: musicisti che possono catturare, trattenere e monetizzare l'attenzione, e pazienza se poi non venderanno dischi.




L'offerta

Tutto quello che serve per registrare un disco oggi è un computer e un software a buon prezzo. Una delle più potenti DAW digitali (Digital Audio Workstation, usata per produrre musica) è Logic Pro della Apple, che costa solo 200 dollari. Nella DAW si trovano strumenti virtuali come piano, synth e batteria, così come tutto il necessario per editare e produrre audio. In questo modo, gli artisti possono produrre musica più velocemente, con più efficienza e spendendo meno rispetto a qualsiasi altro periodo storico. Gotye ha scritto la sua “Somebody That I Used to Know” nella casa dei genitori vicino a Melbourne, in Australia. La canzone, autoprodotta, ha raggiunto il numero uno nelle classifiche di più di 23 paesi, e la top ten in più di trenta. Alla fine del 2012, il pezzo è diventato il più venduto dell'anno con quasi dodici milioni di copie, posizionandosi fra i singoli più venduti di tutti i tempi.
Un giovane producer olandese di nome Martin Garrix ha raggiunto la cima delle classifiche in più di dieci paesi con la hit “Animals”, prodotta all'età di diciassette anni. La canzone ha raggiunto la prima posizione su Beatport, facendo di Garrix il più giovane ad aver mai raggiunto questo traguardo.
I millennials hanno familiarità con queste tecnologie, ma ancora più importante è l'attitudine open-source per quanto riguarda l'apprendimento.
Cerca “usare Logi Pro” su YouTube e troverai migliaia di tutorial. Siti come Reddit hanno intere comunità, con decine di migliaia di membri, dedicate a imparare a produrre musica. La tecnologia è economica e le risorse per imparare sono gratis. In questo modo, gli artisti raggiungono un successo di massa senza aver mai messo piede in uno studio di registrazione.
Grazie a questi nuovi mezzi, sottolinea Honeyman, la possibilità di scoprire nuova musica è al punto più alto di tutti i tempi. E “va da sé che la scoperta di nuova musica e la produzione musicale camminano mano nella mano. La tecnologia, così come ha reso facile la produzione musicale per gli artisti emergenti, li ha anche provvisti di un modo per raggiungere fan in qualsiasi parte del mondo. Piattaforme come Soundcloud hanno più di 250 milioni di utenti attivi ogni mese e i Millennials scoprono la loro musica principalmente attraverso questi canali. In questo modo stanno giocando in tutte e due le metà del campo: creano più musica che mai e la pubblicano sulle piattaforme dove curiosano per scoprire nuova musica. L'intermediario dell'industria musicale è stato tagliato fuori, sostituito da una trattativa fra pari. Naturalmente, grandi star come Katy Perry dominano ancora il mercato, ma i Millennials stanno erodendo quel modello scambiandolo con uno nuovo e realmente popolare.”

(foto via)

Per finire, Honeyman nota come i Millennials stiano abbattendo anche un'ultima barriera: “potenti team di autori e produttori supportano artisti di successo come Rihanna, Taylor Swift e Katy Perry, spingendoli al top. Il lavoro di squadra permette agli autori di produrre in serie mucchi di canzoni pop super orecchiabili.
Oggi, servizi come FindMySong mettono in contatto i musicisti indipendenti in modo che possano formare i loro team di songwriting e produzione. Il modello FindMySong si giova del fatto che ci sono più musicisti indipendenti che mai che vorrebbero il successo degli artisti delle major senza i vincoli imposti dall'appartenenza a una grossa etichetta. Con la tecnologia sempre più economica e un efficace sistema di distribuzione, gli indipendenti sono uniti contro le major. Per la prima volta nella sua lunga storia, il business della musica (almeno in America) è saldamente in mano agli artisti e ai consumatori. Abbiamo noi stessi la possibilità di portare il mercato dovunque vogliamo”.

Non sembra una catastrofe, vero? Anzi, detta così sembra un'eccitante roba alla power to the people: “Voi avete il potere adesso. Cosa intendete farne?”.

Ai giovani la risposta. Non è sempre stato così, nella musica?

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L'articolo Come una sola generazione ha ucciso l'industria musicale di Letizia Bognanni è apparso su Rockit.it il 2014-07-07 14:11:00

COMMENTI (9)

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  • badmemeproduction 8 anni fa Rispondi

    millenials e nativi digitali non sono la stessa cosa

  • Barnumsfreak 10 anni fa Rispondi

    le lobbi discografiche per 100 anni hanno monopolizzato il mercato, imponendo artisti, royalities sulle vendit pietose per I musicisti e prezzi astronomici per I consumatori, arricchendosi im modo spropositato, accumulando oltre ogni decenza denari e potere. migliaia di artisti validissimi e sicuramente qualche genio sono rimasti stritolati dalla cinica macchina del business perche magari non dotati di quella cattiveria e determinazione (o calcio in culo) che non ha niente a che vedere con le qualita' artistiche. oggi che il mercato discografico ha perso il suo oligopolio a causa dell ingressi dei cosiddetti "indipendenti" qualcuno storce il naso....oggi ti autoproduci un disco con circa 1.500 euro lo dustribuisci su internet tramite reverbnation a circa 200 euro all anno, ti vai a cercare I fan sui portali di ascolto e ti crei il tuo mercato. se il disco vale ti seguiranno se e' una cagata non se lo filera' nessuno. cosa c e' di piu liberale e meritocratico?

  • francocameli 10 anni fa Rispondi

    L'industria discografica ha fatto il bello e cattivo tempo da Elvis (1956 circa) fino all'avvento dei dispositivi digitali portatili. I padroni del disco hanno deciso quali artisti portare al successo e hanno orientato abbondantemente i gusti del pubblico.
    Mi chiedo se la strage delle etichette sia stata voluta dall'industria discografica o se, invece, sia da attribuire a macroscopici errori di valutazione da parte delle majors. In maniera semplicistica si potrebbe pensare che i tempi sono cambiati ed ora ci trovaimo nell'era dell'usa e getta.

  • lichimin 10 anni fa Rispondi

    Basta Logic per fare un disco, come del resto in molti credono che basti una Reflex o instagram per essere fotografi. E' vero che c'è tantissima offerta, ma la qualità è un'altra cosa, oggi chiunque può produrre musica, questo non fa che abbassarne il valore generale, se c'è molta offerta il valore si abbassa e magari si crea un maremagnum di offerta che chi è veramente talentuoso non riesce ad emergere. Le case discografiche hanno lucrato molto sugli artisti, ma alcune, magari indipendenti, filtravano in ingresso gli artisti in base al loro stile editoriale e garantendo una certa qualità nei prodotti. Ora se pinco pallino fa per diletto una canzone di peti magari riesce ad avere più successo si un qualcuno che con talento scrive musica. Ma anche su questo ci sarebbe tanto da dire.

  • saggiofaggio 10 anni fa Rispondi

    Stefano, credo che suicidata sia un termine impreciso.
    La discografia ha semplicemente esaurito il suo breve e misero percorso.
    Si è estinta.
    La durata temporale del Mercato Discografico è niente. Non c'era pochi lustri fa; non c'è adesso. Noi torniamo semplicemente a fare quello che abbiamo sempre fatto: suonare a corte per un paio di Talleri.
    Grazie Coca-Cole e Heineken; una prece per le multinazionali del disco: andate all'inferno come avete voluto.

  • stefano.noi 10 anni fa Rispondi

    L'industria musicale non è stata uccisa da nessuno, si è SUICIDATA. Come buona parte del resto dell'industria che non si è accorta di non essere più nel 1900.

  • daviddrago 10 anni fa Rispondi

    L'articolo è interessante, i commenti ancora di più. E ancora più interessante è il fatto che sia un articolo tradotto da una rivista - e quindi una realtà - americana.
    Di certo, è sospeso tra illuminazione e approssimazione, e qualcosa continua a sfuggirmi. Davvero l'industria musicale è morta e siamo al 'power to the people' dominato dai 'millennials'? Non so, perchè a me a volte sembra che l'industria musicale sia vivissima e, cavalcando la tecnotendenza dell' "ascolta e brucia via", ai "millennials" gli fotta il cervello. E allora mi verrebbe da parafrasare questo titolo: "Come l'industria musicale ha ucciso un'intera generazione". O no?

  • Micgran1921 10 anni fa Rispondi

    Come puntualmente accade articoli come questo rappresentano l'ennesima occasione persa per articolare una seria argomentazione in merito ad un tema che viene svilito da interpretazioni approssimative. È un articolo come al solito dozzinale in cui si parla di tutto tranne che di musica. È un articolo che rivela i limiti culturali dei nostri tempi non nei contenuti ma nella forma, facendo una confusione pazzesca tra qualità e quantità. Una confusione sulla quale si basa il sistema ingordo "capitalistico" spietato che ha distrutto e distrugge il mondo musicale con i sui linguaggi e adesso, che mostra i primi sintomi di implosione, piange e continua a "fottere". Continuare ad associare la generica etichetta di "musica elettronica" allo Skrillex di turno, per me batterista studente di composizione elettroacustica e nuove tecnologie al conservatorio, è un errore grossolano che fa perfettamente il gioco di questi "predatori" culturali volgarmente detto brand. Non difendo il contesto accademico, anzi contesto l'accademia, ma bisogna avere un po' di onestà nell'ammettere che se non si riporta il discorso su una netta distinzione tra qualità e quantità, tra contenuto e media, il nostro futuro sarà più catastrofico di quanto non lo sia già, dato che le nuove generazioni tecnologiche non sanno chi sia né Bach né Hendrix, né Haendel né Zappa. Troppo facile sparare etichette senza spiegare i perché, ora che nessuno si pone più domande c'è spazio per risposte libere, aperte, imprecise, dozzinali, superficiali per "coltivare" una clientela fedele e inconsapevole.

  • saggiofaggio 10 anni fa Rispondi

    Poche volte ho letto un articolo così provvisorio e demagogico.
    Purtroppo per rispondere adeguatamente ci vorrebbe altro spazio....
    Facilità di produzione=maggiori possibilità espressive?
    Ma per favore, per ora è uguale solo a livellamento verso il pavimento.
    Quanto all'industria, bisogna proprio averne voglia per dire che "powered by" sia a) una novità; b) un vantaggio per la musica.....
    Ma poi chi ha più voglia di parlare di questi che sono aggrapppati a una realtà (discografica) che è durata si e no mezzo secolo e non vogliono capire di avere ormai la stessa utilità delle carrozze a cavalli dopo l'arrivo dei taxi?