In Italia oggi, chi va ai concerti vale meno di zero

Le immagini delle discoteche piene in queste serate lasciano interdetti. Non si tratta di alcun modo di invocare la repressione, ma di chiedere conto (a gran voce) perché alla musica live sia stata imposta una simile disparità di trattamento

29/07/2020 - 09:49 Scritto da Simone Stefanini

Ciao amici di cui non so il nome, visti un sacco di volte ai concerti e ai festival estivi negli anni scorsi. Come ve la passate? È un'estate strana, sì. Finché non perdiamo qualcosa, non riusciamo a capire fino in fondo quanto sia importante per noi. Per quanto sembri una banalità stucchevole scritta nei cioccolatini, è la pura verità. O almeno, se si parla della musica, lo è eccome. Al momento, i concerti dal vivo sono sempre in stallo e i lavoratori del settore sono le vittime più colpite dalle misure anti covid. Misure sacrosante, atte a farci uscire da uno scenario sanitario che solo qualche mese fa puzzava di apocalisse.

La musica dal vivo si è dovuta adattare, come il DAS nelle mani dei bimbi degli anni Ottanta – che poi è stato tolto dal mercato perché ripieno d'amianto. Esempi virtuosi nel nostro Paese ce ne sono molti: i promoter stanno riorganizzandosi, trovando location che possano garantire il distanziamento sociale, alcuni artisti si stanno riducendo il cachet pur di suonare e solo i più versatili riescono a fare un tour a queste condizioni. Tour portati avanti per pura passione, perché non esiste possibilità di guadagno reale se il pubblico è meno che dimezzato per legge.

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Dei lavoratori dello spettacolo, le grandi vittime silenziose del virus, abbiamo parlato molte volte. Meno si è detto del pubblico, spaesato e sospeso. Quelli che fanno i chilometri per vedere il loro artista preferito, che abitano nei luoghi in cui i concerti non arrivano mai e spendono una fortuna per girare mezza Italia, quelli che stanno in città e non se ne perdono uno, quelli il cui tempo viene scandito dalla distanza tra l'uno e l'altro live, non contano niente.

L'iniquità di trattamento tra i frequentatori delle discoteche e quelli dei concerti, durante questo periodo di post-pandemia, è sotto gli occhi di tutti, inequivocabile. Non si tratta di tifare, giocare a fare l'ultrà, piuttosto di seria frustrazione nel vedere discoteche commerciali italiane aperte, con enormi assembramenti di giovani – spesso senza mascherina – che ballano per ore, bevono e vivono l'evento come se il covid non fosse mai esistito. E invece esiste eccome, cari Bocelli negazionisti (ci mancavate solo voi). Dall'altro lato, chi organizza i concerti ha dovuto reinventarsi la professione, legato a doppia mandata da una lunga serie di divieti controllatissimi. Il pubblico separato, seduto e molto sparuto, in una dimensione del tutto nuova rispetto a quella adrenalinica sotto palco. Emozionante lo stesso, anche commovente, ma molto diversa. 

Le serate in discoteca, al contrario, non sembrano granché cambiate.  Dal Veneto alla Puglia, dalla riviera adriatica a quella tirrenica, le documentazioni social delle serate si sprecano, e sono tutte simili: dj che attirano le folle, mascherine calate sotto il mento, nottate interminabili. Giusto ieri ho letto il volantino della discoteca di provincia vicino a casa mia, che per Ferragosto fa un party che dura dalle 23 alle 5. Non è certo una crociata contro la night life e il divertimento, e neanche contro i gestori delle discoteche che tentano di salvare la stagione, piuttosto contro leggi che penalizzano un settore anziché un altro, rendendo la vita impossibile a una categoria di lavoratori e di pubblico. 

Di soluzioni a breve termine non ce ne sono, ma la rabbia è tanta, perché non c'è una logica dietro la disparità di trattamento dei due comparti dell'intrattenimento. Se siamo sempre in pericolo, e purtroppo le notizie anche in Europa non fanno stare del tutto tranquilli, lo stesso giovane che va in discoteca o al concerto può infettare ed essere infettato. Da qui, qualche domanda d'obbligo: perché le leggi italiane permettono l'assembramento nei locali notturni ma non sotto un palco? Perché una volta nel locale, che sia all'aperto o ancora peggio al chiuso, non c'è reale controllo nei comportamenti degli avventori, quando agiscono in maniera irresponsabile a livello sanitario? Perché viene data la possibilità di fare feste in stile pre-covid durante una pandemia, quando nessuno degli altri settori, dal turismo all'intrattenimento, può comportarsi come se niente fosse?

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Abbiamo letto le parole di Damir Ivic, che su Soundwall ha scritto un lungo pezzo che potrebbe riassumersi in: "Non è facendo i giudici dietro una tastiera e condannando le discoteche che avrete un qualche giovamento nel vostro settore". Be', chiaro. Ma se tutte le persone che vanno ai concerti, i lavoratori, gli artisti, i promoter e tutti gli altri, devono pure rimanere silenziosi quando credono di trovarsi davanti a un'ingiustizia, diventa difficile aprire un dialogo per capire come fare a farcela, tutti. Gli anni '90 sono finiti da un bel pezzo, non c'è più la divisione netta tra quelli che ballano e quelli che suonano, né tra producer, dj e musicisti. Ognuno fa il suo percorso e vede di farlo al meglio. Nonostante non sia il nostro pane quotidiano, nelle settimane scorse abbiamo voluto dare voce anche ai gestori di discoteche, per avere un quadro più netto di ciò che succede, e continueremo a farlo. 

Nessuno qui si metterà mai a scrivere sui muri - discoteche + concerti, riteniamo solamente di avere tutto il diritto all'indignazione quando non riusciamo a lavorare mentre altri riescono, senza che siano portati a organizzarsi seriamente per contenere l'emergenza sanitaria. Signori, tanto per farla breve: al momento in qualsiasi set, redazione, ufficio, struttura ricettiva, bar, pub, fabbrica, ospedale, (tutto quello che mi sono dimenticato e) concerto, le misure anti covid sono ben chiare e tutti sono sottoposti ad esse, dal manager milionario all'ultimo di quelli come me. Vogliamo un trattamento equo da parte della politica, per non aggiungere al danno la beffa di sapere che a nessuno interessa di noi, mentre ci consumiamo tra lo spleen dei concerti che non abbiamo potuto vedere e delle serate senza musica, di un'estate interminabile. 

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L'articolo In Italia oggi, chi va ai concerti vale meno di zero di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-07-29 09:49:00

COMMENTI (2)

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  • paolabacchetta90 4 anni fa Rispondi

    Da frequentatrice di entrambi i contesti non posso che trovarmi totalmente d’accordo con tutto quello che hai detto. Mi sono ritrovata a guardare foto di serate in discoteca con il pensiero a tutti i concerti che mi sono saltati e che aspettavo da molto.. uno su tutti quelli dei The Killers, all’aperto e in una zona talmente vasta che l’eventuale imposizione di 1000 persone è parsa subito assurda. Speriamo che cambi qualcosa in fretta.

  • associazioneaspettandogodot 4 anni fa Rispondi

    Condividiamo in tutto e per tutto questo esauriente ed incisivo articolo..
    Associazione Culturale Musicale 'Aspettando Godot'
    aspettandogodot.it