Contro la buona musica di una volta di Enrico Ruggeri

Enrico Ruggeri torna con l’album di inediti “La rivoluzione”, e fin qui tutto bene. Ma lo accompagna con un “decalogo della buona musica” a cui attenersi. Che noi contestiamo punto per punto, perché meno regole ci sono (almeno nella musica) e più siamo felici

Enrico Ruggeri in una foto promo
Enrico Ruggeri in una foto promo

È uscito l'ultimo album di inediti di Enrico Ruggeri dal titolo La rivoluzione, un concept album autobiografico che, come scritto a chiare lettere nel comunicato stampa, "parla di rapporti umani, di sogni adolescenziali, di una generazione che si è scontrata con la vita". Il disco è impreziosito dai feat. di Francesco Bianconi e Silvio Capeccia, compagno di band di Ruggeri negli Champagne Molotov (1972), ancora prima dei Decibel. Un album che guarda al passato fin dalla copertina, una foto della classe di Enrico Ruggeri al Liceo Berchet, anno scolastico ‘73/’74.

Il disco ha alcune canzoni interessanti, rock virato al cantautorato senza gli assoli di chitarra dei tempi di Mistero, alcune di scuola Fossati, altre più new wave o synth pop, ma in ogni caso la zampata del vecchio Ruggeri "punk prima di te" si sente. Lui, personaggio sopra le righe, già presentatore televisivo e radiofonico, scrittore, spesso preso di mira per le sue esternazioni politicamente scorrette, anche in vista del lancio del suo nuovo disco ha deciso di gettare il cuore oltre l'ostacolo e pubblicare sul suo Instagram il suo Dogma '95 in stile Lars Von Trier, un decalogo di regole a cui attenersi per la registrazione de La rivoluzione

 

 
 
 
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Niente da obiettare, alla fine ognuno fa quel che vuole con la propria arte, ma il titolo Decalogo della buona musica suggerisce che ce ne sia una cattiva, e allora abbiamo riflettuto su ogni singolo punto, perché esprimersi dentro cornici troppo strette potrebbe limitare la creatività e presumere che ci sia un modo giusto e uno sbagliato di registrare, suonare e intendere la musica è il contrario di come siamo abituati a pensare noi.

1) Prima di accendere le macchine il brano va provato e suonato come se dovesse essere eseguito dal vivo.

Dipende tanto dal progetto che hai in testa. Se vuoi una sorta di album live in studio può essere una strada percorribile, ma fin dagli anni '60 dei Beatles gli overdub e le sperimentazioni in studio contribuiscono a rendere più intrigante una registrazione che, proprio per la sua natura "definitiva" sarà ben diversa da un'esperienza live in cui le canzoni possono essere trasformate e stravolte a piacimento.

2) La band dev'essere la stessa in studio e dal vivo.

Beh, anche qui dipende. Se un artista è anche un polistrumentista o un producer abituato a registrare tutto da solo o quasi, per poi creare una band ad hoc per ogni tour e arrangiare i pezzi dal vivo in base ai nuovi elementi, il secondo punto è del tutto fuori strada. Che noia ascoltare i pezzi dal vivo identici a quelli nel disco.

3) Solo il batterista deve avere il click in cuffia. Se non c'è la batteria si sceglie un solo "strumento guida".

E se la batteria non fosse lo strumento che detta il tempo? E se tutti i musicisti per suonare avessero bisogno del click in modo da rompere la quadratura tenendola sempre ben presente? Tutto dipende da che tipo di musica si intende fare, questo punto sa più di limite che di opportunità.

4) Basso e batteria vanno registrati assieme e ascoltati e valutati assieme.

Come sopra. Non è detto che ogni canzone abbia la struttura di un tipico brano rock in cui la sezione ritmica va di pari passo, questo punto è un po' troppo scolastico. Mettiamo che la batteria segua la chitarra o un altro strumento e che il basso circoli per gli affari suoi, rientrando negli accenti non solo della batteria. Perché limitare i due strumenti a fare da sezione ritmica canonica senza poter dare loro spazio per trovare nuove soluzioni di arrangiamento all'occorrenza?

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5) La band non deve avere spartiti.

Più vado avanti e più questo modo di registrare sembra una gara. Se un musicista si trova bene ad arrangiare e a suonare con lo spartito davanti in fase di registrazione, ha poco senso obbligarlo a tenere tutto a mente, rischiando di frustrarlo. Si parla della creazione di un disco, è giusto che ogni contributo anche da parte dei turnisti sia compatibile col loro modo di lavorare.

6) Gli spartiti per archi e fiati devono essere scritti da un arrangiatore e non generati da un computer.

Fior di producer creano partiture per archi o fiati stratificando linee melodiche mentre suonano la tastiera midi, e alla fine del lavoro vengono fuori orchestrazioni interessanti. Certo, un arrangiatore mette tutto un altro mestiere, ma non tutti possono permetterselo.

7) Quando si ascolta e si valuta un'esecuzione non va guardato il computer, né per l'intonazione né per il tempo.

Il rifiuto della tecnologia mi sembra un po' antistorico se si lavora con un computer. Allora tanto vale fare un progetto del tutto analogico, registrato su un multitraccia a nastro senza alcun ausilio del computer, tutti insieme e fare sessioni finché non esce quella buona, come abbiamo visto ad esempio i Beatles (di nuovo loro) nel documentario Get Back. È un processo affascinante e costoso. Altrimenti è come comprarsi un iPhone e usarlo come un Nokia 3310, senza app e senza internet: se in un determinato pezzo c'è bisogno di guardare il file durante un ascolto, non vedo perché vietarne l'opportunità.

 

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8) Durante il lavoro e gli ascolti il click deve essere spento mentre non va mai spenta la traccia vocale: i musicisti devono sempre aver presente ciò che dice il testo.

La crociata contro il click era già iniziata nel punto precedente, ma qui si va oltre e si vieta ai musicisti di ascoltare solo la base musicale per trovare disarmonie, errori, per lanciare nuove idee senza l'assillo del cantante o della linea vocale. Immaginate al quarantesimo ascolto di fila quanto possano odiare ogni parola di quella canzone.

9) Il cantante deve registrare la voce senza il foglio del testo davanti.

Di nuovo la gara: il cantante deve sentire il testo, deve interiorizzarlo senza il foglio davanti. Ok, ma se è concentrato a fare un vocalizzo e in fase di registrazione perde il filo? Se vuole registrare a pezzi, se quel giorno la sua voce è perfetta ma il testo, ultimato la sera prima, non gli si è ancora stampato in mente? Il foglio può anche solo venire usato come reminder, leggendo la prima parola della strofa il cantante va da sé, senza stare a leggere, ma nemmeno con l'ansia di non ricordarsi l'ultima strofa e pensarci durante tutta l'esecuzione.

10) Sono vietati editing del tempo e autotune a meno che questo non sia usato come strumento musicale. 

L'ultimo punto smaschera la polemica intrinseca alla pubblicazione del "decalogo della buona musica". Sappiamo bene che quando esce fuori la parola "autotune", a un esercito di persone dai 30-35 in su si chiude la vena. L'unica cosa che viene fuori è: giovanotto drogato coi tatuaggi in faccia che non sa cantare e fa la trap. La realtà è ben diversa, l'autotune lo usano quasi tutti i professionisti sia in registrazione che live per rendere l'intonazione perfetta e capisco che per un progetto come quello di Ruggeri che punta a essere più old school possibile questa sembri una bestemmia, ma come per i punti precedenti, ogni aiuto tecnologico può essere una risorsa ed essere usato in maniera cosmetica oppure per aiutare una registrazione a migliorare in qualità. Con buona pace dei limiti auto imposti, che in questi tempi pericolosi e limitanti sembrano anacronistici.

 

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L'articolo Contro la buona musica di una volta di Enrico Ruggeri di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2022-03-23 14:04:00

COMMENTI (1)

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  • pabloeilmare2 anni faRispondi

    @simonestefanini il punto 7 è interessante però…
    Non credo intendesse rifiutare la tecnologia.
    Secondo me intendeva proprio “guardare il monitor” durante gli ascolti. Ci sta, se ci pensi.
    Il risultato finale sarà esclusivamente quello che ascolterai.
    Vedere una trasposizione grafica su uno schermo non aggiunge assolutamente nulla al risultato.
    Aiuta a editare, cambiare parametri, timing ecc. ma ai fini dell’ ascolto puro non serve, distrae.
    Non so se mi spiego. Spesso durante gli ascolti ci sono 5 persone con lo sguardo fisso su un monitor, avrebbe più senso che fossero tutte ad occhi chiusi. Insomma ci sta, secondo me. Ciao!