Cosa pensava Franco Battiato della morte

Nessuno può mai dirsi davvero pronto a morire. Ma il cantautore siciliano sulla vita e la sua fine aveva riflettuto in tutta la sua immensa arte, toccando come sempre le corde dello spirito. Dal “Testamento” a “La musica muore”, ecco che idea si era fatto di quell’evento “straordinario e nefasto”

Franco Battiato l'8 Giugno 2014 - foto di Lucio Ganci ©Kikapress
Franco Battiato l'8 Giugno 2014 - foto di Lucio Ganci ©Kikapress

"Un giorno morirò senza rumore" diceva Franco Battiato ad Aldo Nove (nel suo libro edito per Sperling & Kupfer). Tutt’altro: il suo ultimo respiro (esalato la mattina del 18 maggio nella sua casa di Milo, in provincia di Catania, dopo una lunga malattia), ha risuonato fortissimo per ogni dove. E chissà per quanto ancora sentiremo il fracasso della sua assenza irrecuperabile, che ha improvvisamente lasciato il mondo sprofondare nella tristezza.

Tuttavia, il Maestro non aveva paura della morte. O meglio: "Non posso affermare di non temere la morte, ma sto lavorando per essere degno di un passaggio di un essere umano da una dimensione all’altra. Ce la sto mettendo tutta", diceva. In occasione dell’uscita di Apriti sesamo, quando nel 2012 rispondeva a un giornalista de La Repubblica che gli umani esistono, ma non muoiono come si pensa: "Ci si trasforma", credeva.

Era il momento di Testamento, seconda traccia del ventottesimo album in studio del cantautore siciliano. In cui l’artista ha riflettuto sul tema della reincarnazione, perno fondamentale con cui il genio della musica italiana ha provato a spiegare il mistero della vita, e della morte. Una delle molte finestre che Battiato ha lasciato aperte per permetterci di comprendere il suo modo di vedere e capire il mondo.

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"E mi piaceva tutto della mia vita mortale / Anche l'odore che davano gli asparagi all'urina", cantava in Testamento. "Il che è un limite, non è un complimento”, commentava: "Siamo impermanenti e dobbiamo abituarci a questo". Nel testo scriveva anche: "Noi non siamo mai morti, e non siamo mai nati".

Lui era pronto alla morte: l’aveva già affrontata mille volte nelle sue canzoni, d’altronde. E aveva un’idea chiara di quell’evento, credo poiché conoscesse bene la vita. L’aveva studiata ed esperita con consapevolezza, superando "l’inerzia, l’indifferenza, la grossolanità, la non voglia di mettersi seriamente a cercare. Perché la materia gioca brutti scherzi", rifletteva il cantautore sempre in quell’intervista concessa a XL.

Tutta l’opera di Battiato è segnata dall’immenso significato delle sue canzoni, che tracciano il pensiero complesso e riflettono l’inclinazione di un artista e uomo di cultura. La morte, la fine, gli addii sono topoi insistenti nelle sue liriche. Testimonianza esaustiva della sua spiritualità e della ricerca sfrenata di una verità per sé stesso. Con la ricompensa di una serenità interiore che in qualche modo traspariva all’esterno, ed era visibile a tutti.

Franco Battiato - foto di Roberto Cappello, via Kikapress
Franco Battiato - foto di Roberto Cappello, via Kikapress

"La vita non finisce / È come il sogno / La nascita è come il risveglio / Finché non saremo liberi / Torneremo ancora", ha cantato fino alla fine in Torneremo ancora, l'ultimo inedito del 2019. E, ancora, nel '92 realizzava Gilgamesh, un'opera in due atti sull'omonimo re sumero: "Guardate il nostro re: è morto o dorme?" (da Morte di Gilgamesh), erano i pochi versi cui veniva affidato il compito di sciogliere l'enigma.

"Vivere non è difficile potendo poi rinascere" è l’esordio al primo verso de L’animale, ennesimo suo capolavoro. Anche se Prospettiva Nevski (in Patriots, disco del 1980) si chiude con la frase: "E il mio maestro mi insegnò com'è difficile trovare / L'alba dentro l'imbrunire", ossia la possibilità di una nuova esistenza oltre la morte.

Difficoltà sintomo di una tutt’altro che disillusa e superficiale fiducia nell'atto della reincarnazione (ossia nell'assunzione di un'altra vita corporea dopo la morte), ma la prova che nel trascendentale Battiato avesse riparato molte delle sue credenze in maniera lucida e congruente. Permettendogli di arrivare a "quell’evento straordinario e nefasto, ancorché piacevolmente strabuzzino" (da Franco Battiato di Aldo Nove, 2020) che è la morte, come probabilmente si stava preparando a fare.

Cioè, soprattutto attraverso la musica, la sua arte privilegiata: "Il pezzo che mi somiglia di più è Le nostre anime", diceva l’artista a Mollica, in un’intervista, "una canzone vecchia in cui mi riconosco ancora perché è un brano in cui cerco di andare nell’al di là". Ma anche la filosofia, la letteratura, il cinema.

Si intitola Attraversando il bardo (Sguardi sull’aldilà), il documentario (e libro) di Battiato: una serie di interviste intorno al tema dell’ars muriendi, ovvero l’arte del morire (bene). Una conversazione tra il razionale e l’onirico con teologi, fisici, monaci, psichiatri e altri intervistati dall’artista (che rimane nascosto dietro la macchina da presa). Tutti concordi nello stabilire che la vita è il viaggio di preparazione a un'altra esperienza, che proveremo tutti dopo la morte.

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Dunque: "È il tempo di lasciare questo ciclo di vite", come intona Battiato ne L’ombra della luce. Quello che resta è "Il dolce malessere dopo un addio" (da La quiete dopo un addio), e sarà difficile guarirne. Ad alleviarci la voce del Maestro (reincarnato, chissà, in quale altro corpo, in quale altra vita) che rassicura noi rimasti sulla Terra. Ci urla da lontano: "[I'm] on the road again, my generation", e utilizza le parole de La musica che muore. Un attimo dopo, il tripudio di un'orchestra che suonerà ancora e per sempre, per lui, le sue canzoni, e noi che l'amiamo.

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L'articolo Cosa pensava Franco Battiato della morte di Claudia Mazziotta è apparso su Rockit.it il 2021-05-18 17:00:00

Tag: addio

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