Crimi, un bizzarro triangolo d'amore tra Algeria, Sicilia e Francia

Il sassofonista francese Julien Lesuisse, con il mito di Rosa Balistreri, decide di fare del dialetto siciliano la lingua del suo progetto, in cui la musica tradizionale isolana incontra il raï, il funk, il jazz e l'afrobeat. "Luci e guai" è l'incredibile frutto di questo imprevedibile melting pot

Crimi - foto di Marion Bornaz
Crimi - foto di Marion Bornaz

No, non c’entrano niente con l’omonimo politico del Movimento 5 Stelle. Anzi, si direbbe che non c’entrino niente neanche con quello di cui ci troviamo a parlare quotidianamente qua, ossia la musica italiana: Crimi è una band nata in Francia, fondata dal sassofonista Julien Lesuisse, mentre il resto dei musicisti vive diviso tra Chambery e Ginevra. Insomma, che c’azzeccano con l’Italia? Se il nome già suggerisce già un richiamo al nostro Paese, il titolo del disco non lascia alcun dubbio:Luci e guai.

 

Potrebbe trattarsi di un divertissement, un riferimento che per qualche motivo ha colpito la band, magari un inside joke, ma in realtà dietro si cela una visione ben precisa. Quello che ha realizzato Crimi è un lavoro di contaminazione incredibile, che parte sì dalla Francia, ma solo geograficamente. Luci e guai è un’opera che va a mescolare le sonorità della musica popolare algerina, il jazz e il funk di New Orleans, l’afrobeat e, soprattutto, un lavoro sul linguaggio di immersione totale nella tradizione siciliana.

Ciò che Lesuisse e i suoi soci hanno fatto ricorda un po’ l’intuizione che ha dato a Pufuleti quel quid di geniale nel suo progetto: ma se il rapper di Monaco ha recuperato la lingua dei suoi genitori dalla televisione italiana per dare corpo a un rap sbilenco e stralunato, in cui è percepibile la cadenza tedesca nel flow e una visione delirante nelle immagini che presenta – ancora ci chiediamo cosa diavolo sia “l’assedio di Vanessa” –, Crimi dà l’impressione di essere più legato a una realtà tradizionale, concreta, meno allucinata e più indirizzata al creare un ponte immaginario tra culture diverse.

La copertina di 'Luci e guai'
La copertina di 'Luci e guai'

Un’operazione molto specifica che non è solo fascinazione esotica, ma che è frutto di uno studio meticoloso fatto dallo stesso Lesuisse. I suoi nonni erano di origine italiana e da bambino si trovava spesso a sentire parlare loro e sua madre parlare in questa lingua curiosa per le sue orecchie, senza essere in grado di comprenderla. Un cruccio che evidentemente gli è rimasto fino da adulto, quando ha poi deciso di riprendere in mano le sue radici e imparare il dialetto siciliano. Al punto che è diventata la lingua in cui i testi di Luci e guai sono stati scritti.

L’album è, in una parola, sorprendente. Difficile non farsi rapire dalle trame distorte della chitarra elettrica, così spigolosa e ruvida, che finiscono per incastrarsi con una sezione ritmica straripante, trainata da una batteria carica di groove e un basso imponente. A smorzare gli arrangiamenti ci sono gli intermezzi del sassofono di Lesuisse, che danno un tocco di morbidezza al graffiante funk che impazza intorno. A questo si aggiungono, soprattutto nelle melodie sofferte, le influenze del raï algerino, genere sviluppatosi a partire dall’inizio del XX secolo come miscuglio della tradizione musicale berbera e araba e arrivato a una discreta popolarità in Francia.

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Crimi, in questo incontro/scontro di culture e mondi diversi, sembra essere una versione moderna dei Napoli Centrale, con meno impronta fusion, più attenzione al folk e alla tradizione e lo spostamento del focus dalla Campania alla Sicilia. Non per niente, in Luci e guai ci sono tre brani che appartengono alla cultura siciliana: Mano d’oro, La Vicaria e La Virrinedda sono tutte rielaborazioni di canzoni interpretate da Rosa Balistreri, figura di culto e spesso dimenticata del cantautorato nostrano. Lesuisse, innamorato della sua musica, trova il modo di declinare questi canti tradizionali nella sua visione funk psichedelica, stravolgendone completamente la forma, ma mantenendo intatta la sostanza e la purezza.

Ma non c’è solo Balistreri ad aver folgorato Lesuisse: le cheikhat algerine della metà del ‘900 come Cheikha Rimitti e Cheikha Djenya, che cantavano del desiderio sessuale su una base sonora languida e ipnotica scandalizzando l’establishment dell’epoca, sono un’altra fortissima fonte di ispirazione. Vicende umane parallele a quella di Rosa Balistreri – la quale ebbe una vita difficilissima – che trovavano nella musica un modo di esprimere tutto il loro dissenso per i costumi del mondo in cui erano costrette a vivere. E non sarà un gesto di rottura altrettanto forte, ma già celebrare queste figure così incredibili, quasi rivoluzionarie, è una scelta che ha non poco impatto sulla musica di Crimi: nel disco compare anche Cheb Khaled, cantante algerino che spesso ha generato controversie per i suoi brani progressisti.

Crimi - foto di Marion Bornaz
Crimi - foto di Marion Bornaz

Luci e guai è finora il culmine del percorso di Lesuisse, che già da anni si dedica alla ricerca nella tradizione musicale del sud Italia. Tra i suoi progetti, per esempio, figura anche La Squadra Zeus, che si occupava proprio di queste sonorità e in cui suonava il friscaletu e la zampogna, strumenti della cultura siciliana. Il triangolo immaginario tra Francia, Algeria e Italia che Crimi traccia è il modo migliore per celebrare davvero la multietnicità e la diversità, esaltando gli aspetti più stimolanti di mondi musicali così distanti all’apparenza, ma capace di mescolarsi tra loro nelle maniere più inaspettate. E in un mondo che sembra essere perennemente schiavo dell’egemonia culturale inglese, non c’è niente di più sconvolgente e bello che andare da tutt’altra parte.

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L'articolo Crimi, un bizzarro triangolo d'amore tra Algeria, Sicilia e Francia di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2021-08-20 09:45:00

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