I Cure ci hanno disintegrato ancora

I live di Robert Smith e soci in Italia sono stati inferno e paradiso per migliaia di “fortunati”. Abbiamo chiesto ad alcuni artisti italiani fan della band – da Gianmaria Accusani a Karim degli Zen Circus o Alessandro Baronciani – come faccia il nero a non passare mai di moda

Nel 1987 un giornalista del Melody Maker scrisse che “un tempo i fan dei Cure erano soliti vestirsi di nero e ballare nei cimiteri” mentre all'epoca (erano appena usciti i singoli di Hot Hot Hot! e Why Can't I Be You?) continuavano “a vestirsi di nero e danzare di notte nei cimiteri ma senza fare tardi per una nuova puntata dei Simpson”. L'ingenuo cronista musicale non aveva minimamente idea di come le cose sarebbero peggiorate negli anni, quando ai singoli dagli ammiccamenti pop e funk si susseguirono i cori da stadio su brani come Play For Today e i momenti villaggio vacanze su altri, come A Forest. Motivo per cui alcuni, me compreso, smisero proprio d'andarli a vedere dal vivo.

Così, quando ho preso definitivamente atto che il concerto alla Kioene Arena di Padova si sarebbe svolto in un freddo e piovoso giovedì, quando per giorni a dirci che fosse autunno c'è stato solo il calendario, sono rimasto incerto se vederlo come un buono o cattivo presagio. Ma tornare ai Cure, scongiurando mancaroni e sopravvivendo anche all'orgia del baraccone governativo appena iniziato (crociate no-rave e no-vax negli ospedali... BOOM) ci sta, anzi, è cosa buona e giusta. Ossigeno, grazie.

Ciò che resta della maglietta vintage dei Cure di Paolo Mongardi
Ciò che resta della maglietta vintage dei Cure di Paolo Mongardi

 

Organizzano BarleyArts con Zed!, che con quella di stasera mette a segno la terza di quattro date a un passo dal tutto esaurito. Si entra a un prezzo quasi politico. Bomba. Considerando il nome, la durata (due ore mezza) e i servizi, ho visto gente con la metà della storia, della scaletta e del hype chiedere lo stesso. Età media del pubblico è più che varia ma comprensibilmente tendente agli over 40. Il nero predomina ancora. Mi sembra anche giusto. E c'è un numero impressionante di frangette. Apre il concerto il post-tutto dei Twilight Sad: non li ho mai capiti e oramai mai li capirò. Sul finale, sarà la noia o la salopette da benzinaio di James Graham, provo a vedere il loro spettacolo come una pièce su caro benzina e crisi energetica ma neanche così mi smuovono un granché.

Quando salgono i Cure con leggero ritardo, attesi e amati, ancora prima di prendere nota e ricambiare con altissima intensità e bellezza (pure di tenuta del palco), creano un'atmosfera casalinga che, comunque, aleggia in un palazzetto strapieno. Nemmeno la scritta “Bad Wolf” sulla cassa di Simon Gallup (l'unico a potersi permettere dei pantaloni bianchi senza perdere un filo di fascino) riesce a scalfirla. Benedetti Cure e sempre siano lodate le loro canzoni. L'intera flotta contemporanea pezzi così se li sogna e lo si capisce dalle badilate di sovrastruttura (laser, neon, delfini volanti e  il resto delle minchiate) che inseriscono nei concerti per sopperire a tanta mancanza.

Il quadro dei Cure di Seggiani
Il quadro dei Cure di Seggiani

Allora inizio a chiedere in giro: come mai i Cure sono ancora oggi uno dei gruppi più influenti nella scena odierna - tanto che uno pieno di sé come Agnelli ancora ne esegue con piacere una cover, scendendo per tre minuti dal suo piedistallo di me, myself and I. Il primo a cui mi avvicino è Gianmaria Accusani, del quale ricordo una foto dei Prozac+ a un disco di Boys Don't Cry in mano, comparsa su una rivista, credo Tutto, nel Paleozoico. “Tra i 13 e i 15 anni i Cure sono di sicuro stati un enorme punto di riferimento musicale - mi dice - Mi ascoltavo i dischi per ore scoprendone sempre meravigliosi dettagli. Se devo sceglierne uno è proprio quello il mio disco preferito”.

Emilio dei Tenebra, me li descrive anche lui come “Un pezzo di adolescenza” ma anche come “Una macchina da guerra di scrittura pop”. Nonostante ciò, il suo pezzo preferito è una mina (resa più pesante dalle immagini in bianco e nero proiettate sullo sfondo) come One Hundred Years. Bianca Brownies, vi suggerisco di andare a spizzare il suo primo singolo gainsbourghiano, mi racconta di quando andò ad ascoltarli di straforo fuori Hyde Park. Discorsiva, oltre a pizzicare una delle varie tante assenti della serata (“Da ballare la mia preferita è Lovecats!”) mi confida che “La mia prima canzone è stata Lullaby. Ero ancora bambina che inizia ad ascoltare musica da Mtv.

Karim QQru degli Zen Circus mostra il primo disco e la prima cassetta dei Cure
Karim QQru degli Zen Circus mostra il primo disco e la prima cassetta dei Cure

 

Il video mi inquietava un po' ma essendo sempre amante dell'horror mi attraevano quei ragazzi spettinati, con la faccia bianca, il rossetto sbavato che cantavano, ricoperti di ragnatele, di ragni giganti pronti a divorarti. Al disagio punk univano la dolcezza, la malinconia e la creatività  e rendevano tutto estremamente romantico”. Gregor dei The Black Veils è invece uno di quelli che si dice completista (“Ho visto i Cure 17 volte e sto vedendo tutte le date italiane!”), uno di quelli al quale se gli chiedi il pezzo preferito te lo immagini esplodere da un momento all'altro (“Impossibile decidere, se penso a questo tour direi: 39, Disintegration, Cold, Strange Days...”) ma quando chiedo perché i Cure si fa filosofico, estatico più che esistenzialista: “Sono stati la porta su un mondo che non credevo possibile. Mi hanno insegnato a trasformare le “lunaticità” in energia creativa, senza costrizioni di sorta legate a un singolo genere o a un solo stato d'animo”.

Bianca Brownies mostra il libro di Camus che ha ispirato i Cure
Bianca Brownies mostra il libro di Camus che ha ispirato i Cure

 

Più o meno dello stesso umore è Seggiani, nuovo artista di Roma in uscita in questi giorni per V4V, "Sarò banale ma per me rappresentano un pilastro intramontabile. La cosa che più ne ammiro è la capacità di parlare di vari  e importanti temi usando arrangiamenti allegri e spensierati, cosa che cerco di fare anch’io. Sono cresciuto con una zia pazza di Robert Smith e se sono depresso ascolto ancora The Caterpillar!".

Se  Roberto degli Elephant Brain mi tira fuori una chicca come Siamese Twins come pezzo preferito e Jesse The Faccio mi confessa di diffidare da questi concerti di band di tempo fa e ammette di avere un rapporto complicato con la band: “Galeotto fu una mix su CDr della Verbatim che mi regalarono ma forse mi hanno influenzato più nel inconscio che altro”, Karim degli Zen Circus mi dice che: “Li ho conosciuti con  la raccolta Standing On A Beach nella seconda metà degli anni 90. Quando misi il disco sul piatto mi colpì una traccia al di sopra di tutte: The Hanging Garden”. E ancora: “Un mio amico aveva appena comprato in CD i primi quattro album e gli chiesi di registrarmi su una C-90 Pornography, il disco da cui era tratta quella canzone. C'andai sotto pesantemente nel giro di pochi giorni: la produzione, il mood, i testi e il suo essere involontariamente concept sul nero dell'anima mi sedusse istantaneamente”. Chi sa mai se ora la ristamperà su Dirt Tapes?

Sul finire della nottata Alessandro Baronciani mi racconta  di quando andò al Fila Forum, “All'epoca si chiamava così”, e di quanto fu “bruttissimo”. Ovvero: “Non lo capivo. Io i Cure li ho sempre ascoltati in solitaria, in cameretta, sul letto, mentre disegnavo o guardavo fuori dalla finestra. Era come se improvvisamente in camera mia ci fossero 4000 mila persone. Cosa volevano? Cosa volete?”. Empatia portami via. 

Alessandro Baronciani con la cassetta dei Cure
Alessandro Baronciani con la cassetta dei Cure

Per me i Cure rappresentano un momento preciso della musica - è un piacere sentirlo - quando un disco mi durava due mesi, ascoltandolo senza sosta. Non c'erano i testi e il mio inglese era poco più di niente. Negli anni mi sono reso conto che quello che immaginavo potesse voler dire la canzone poi ho scoperto che più o meno era quello che avrei letto anni più tardi su internet. Atmosfere, idee, stranezze, singoli alla rovescia, registrazioni con chitarre scordate, regali che si trovavano solo nei dischi dei Cure tipo: le cassette dei dischi avevano un lato b che era sempre qualcosa di inedito.  la cassetta di Concert ha un lato B con ben 10 canzoni in più della versione CD o LP! 10 canzoni live da paura, con una versione di At Night con introduzione fatta soltanto da basso e tastiere cosi tanto distorti da sembrare industrial. Ma in ogni cosa c'è una sorpresa! Vallo a spiegare adesso a Spotify un amore così grande per i propri fan!”. Insomma, mentre Enrico Molteni da Berlino, dov'è andato a sentire i Pavement, mi dice di essere dispiaciuto di non aver contribuito (“Peccato mia band prefe”), come direbbero gli Arab Strap, tutti pazzi per la tristezza, ad apprezzare ancora di più in profondità (From the Edge of the Deep Green Sea, “Il pezzo della vita!” secondo Jukka Reverberi dei Giardini di Mirò) alcune tra le migliori staffilate al cuore di sempre. Ah, ho chiesto a tutti di mandarmi una foto di un oggetto dei Cure e che ricollegano ai Cure. Incredibile ma qualcuno se l'è ricordato!

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L'articolo I Cure ci hanno disintegrato ancora di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2022-11-07 11:16:00

Tag: live

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